Attualità

L’Odissea post moderna nella mia Roma antica

di Francesca Albergotti -



“Te lo do il numero ma mi devi promettere che non lo passi a nessuno… è segretissimo!”. “Va bene, te lo prometto”. “Digli che sei l’amica di F.M.”. Finalmente in possesso del tesoro inestimabile che è il numero di telefono di una società di NCC di Roma, chiamo. Risponde una signora gentile che mi assicura che la macchina con autista sarà all’aeroporto alle 16.30 e per portarmi a Termini al costo di 65€. L’aereo è puntuale, di fronte all’uscita c’è l’autista: lo riconosco perché nello schermo del tablet sfolgora il mio nome. Ci incamminiamo verso un parcheggio, intanto lui mi spiega che “loro” non possono arrivare dove stazionano i taxi, sono costretti a pagare il parcheggio a qualche centinaio di metri dall’aeroporto: “Capisce signora che ce tocca de fa’, se c’è un aereo in ritardo noi dobbiamo aspettare anche ore, e il parcheggio dopo non lo possiamo mica mettere in conto a voi”.

Per miracolo riesco ad arrivare a Termini per acciuffare l’unico treno veloce del pomeriggio che mi porterà a casa. Scampata al traffico, rischio comunque di perdere il treno perchè in stazione sono costretta a zigzagare e inciampare contro uno stremato serpente costituito da persone esauste, valigie, sacchetti e scatoloni, tutti in attesa di un taxi ammatassati da via Marsala fino all’interno della stazione. Appena arrivo nello scompartimento mi affretto ad aggiungere il numero “segretissimo” nella rubrica del mio telefono. Avrei dovuto considerare l’incommensurabile valore del contatto di una società di NCC qualche tempo prima, quando proprio a Roma ero andata a teatro entrando quando il sole era ancora splendente sulla città e dopo due ore, a spettacolo finito, la città era stata investita da un’inaspettata anche se ormai familiare tempesta corredata di raffiche di vento e bomba d’acqua. Il teatro doveva chiudere, gli spettatori, spintonati fuori dal foyer. Nessuna pensilina, nessuna terrazza sotto la quale ripararsi, pochi fortunati avevano sfidato la pioggia per correre a recuperare le loro macchine, mentre io e altri cercavamo di chiamare un taxi. 063570, 060609, 060608, 065551, 066645.

Provati tutti, e dopo l’ascolto di un’amabile playlist e una voce metallica che consigliava di rimanere in attesa, niente pareva indicare l’arrivo di un taxi. Nel frattempo la bomba d’acqua si era ammansita, così decisi di avventurarmi per cercare un taxi per strada. Camminai per qualche chilometro con il rischio di farmi investire mentre mi sbracciavo sguaiata verso ogni taxi che passava nella speranza che qualcuno fosse libero, o avesse pietà. Finalmente mi caricò un ragazzo giovane che mi chiese di scrollarmi di dosso un po’ di acqua prima di salire sulla sua macchina, come chiedo io di fare al mio cane prima di entrare in casa. Era tale il sollievo che ubbidii mansueta, anche se una volta salita non riuscii a trattenere il mio disappunto rispetto all’organizzazione dei tassisti. “Non sarebbe più semplice avere solo un numero con più centralini? E magari aumentare i taxi?”. Il ragazzo, evidentemente già pentito di essersi fermato non solo perché la corsa era corta ma anche perché gli avevo inondato il sedile, si mise di profilo per fulminarmi con un’occhiata spietata. Il tassista con lo sguardo feroce mi portò dove avevo chiesto, purtroppo però senza aprire nessuna possibilità di conversazione né soddisfare le mie sacrosante curiosità. Sacrosante curiosità perché io non guido e nella mia vita ho avuto una lunga storia con i taxi e voglio capire quando e perché tutto questo sia cominciato.

Cosa diavolo è successo in questo paese perché la possibilità di trovare un taxi avesse le medesime probabilità di una vincita all’Enalotto? L’antitrust stima che le richieste inevase nel mese di giugno 2023 siano state del 45% non solo a Roma, anche a Milano e a Napoli. Il solito antitrust ha ultimamente segnalato le “criticità riscontrate nell’erogazione del servizio taxi”. Che incisività, che tempestività, ma questi vanno ogni tanto da qualche parte o sono ingabbiati nei loro uffici ai Parioli e se ne escono dispongono forse di un autista in paziente attesa? Dopo scioperi e proteste, trasmissioni con i soliti esperti di tutto, articoli e inchieste abbiamo ormai capito che: i tassisti hanno pagato le loro licenze, le ultime le ha messe in vendita il comune di Bologna nel 2018 a 175.000Euro. Abbiamo capito che i comuni non vogliono rilasciare altre licenze perché perderebbero il 20% di guadagno sugli incassi legati alle nuove concessioni che verrebbe ripartito al 100% sui tassisti già con licenza a titolo risarcitorio. Abbiamo capito che la patnership Uber-taxi non sta funzionando perché i turisti stranieri quando arrivano a Milano non riescono a utilizzarla. Abbiamo capito che a Roma 8000 taxi son pochi ma che 10.000 intaserebbero di più il traffico. Abbiamo capito che il servizio NCC non può sostituire i taxi non solo perché i privilegiati che ne custodiscono il numero lo condividono malvolentieri, ma anche perché non sempre si può prevedere con largo anticipo di avere necessità di una macchina con conducente. Che fare? Proviamo a sentire Edi Rama, lui magari un’idea se la fa venire


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