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L’urlo sul Mondiale “Il Qatar? Momento e posto sbagliato”

di Giovanni Vasso -

MARCO TARDELLI


Un lampo dal limite dell’area di rigore al 24esimo del secondo tempo squarciò la notte afosa e blu di Madrid. Come un taglio di Fontana, il gol più famoso, desiderato, amato, iconico del calcio italiano. Le braccia alzate al cielo, le sue, quelle del presidente della Repubblica Sandro Pertini e quelle di milioni di italiani a casa. La corsa, l’urlo del mediano che riscatta una vita a sgobbare con una rete, quella del (momentaneo) due a zero ai danni della Germania nella finalissima di Spagna ’82 disputatasi l’11 luglio del 1982 allo stadio Bernabeu. Marco Tardelli è un monumento del calcio e dello sport italiano. “Ormai c’è rimasto solo quello”, scherza al telefono. Ex calciatore, ex allenatore, oggi è opinionista sportivo per la Rai e scrive su La Stampa. Se c’è da parlare di mondiali, anche se strani e contestati come questi in Qatar, non si può farlo che con lui.

Infuria la polemica. Lei ha giocato ai mondiali di Argentina ’78, del quale più, che delle prodezze delle squadre in campo, ci si ricorda della dittatura dei colonnelli. Ma è diventato il volto del mundial di Spagna ’82, il primo nel Paese iberico che si stava ritrovando dopo la dittatura di Franco. Due atmosfere l’una l’opposto dell’altra. Oggi si gioca in Qatar.
“Io penso che questo mondiale sia stato fatto nel periodo sbagliato e nel posto sbagliato”.

C’è stata la questione sulle fasce da capitano per i diritti civili che la Fifa ha caldamente scoraggiato. Non passa certo un bel messaggio…
“Il calcio è diventato business. Sono i soldi che comandano. Non c’è niente da fare. Quando comandano i denari, perdono i diritti umani e si calpestano anche i diritti civili”.
Scendiamo in campo. L’Argentina le ha buscate dall’Arabia Saudita, si parla già dei recuperi lunghissimi che concedono gli arbitri. Un risultato inaspettato. Che mondiale sarà?
“Molte squadre mancano di giocatori importanti. E poi si gioca in un periodo in cui non era abitudine giocare, dopo aver già fatto una parte di campionato con le proprie squadre di club. C’è un po’ di difficoltà. Anche quando lo facevamo noi, a luglio, c’era caldo. In Spagna abbiamo avuto molto caldo. Certamente non si è abituati a trovarsi a disputare un mondiale con un campionato in corso, pensando a quello che succederà quando si dovrà riaprire”.

Chi può giocarsela fino alla fine?
“Le squadre son sempre quelle, non ci siamo noi altrimenti ci saremmo stati anche noi tra i favoriti. Di nazionali forti ce ne sono tante. C’è il Brasile e l’Argentina. C’è la Francia, che purtroppo manca di Benzema. Poi c’è sempre la sorpresa. Vediamo chi sarà la sorpresa di questa edizione: potrebbe essere il Belgio o magari l’Inghilterra che, finalmente, potrebbe vincere qualcosa…”

’Italia non c’è. Il ct Roberto Mancini ha detto più volte che, secondo lui, la nostra nazionale, in quanto campione d’Europa in carica, andava ammessa di diritto. Lei che ne pensa?
“Io penso che il merito sia sempre il diritto, o viceversa se preferite. Ritengo che se meriti di andare a giocare una competizione ci vai, se non lo meriti non ci vai. Semplice. Io credo che nello sport debba essere sempre così. Non hai il diritto di qualificarti perché in passato hai vinto qualcosa: cambiano i giocatori, cambiano tante cose. Per questo ci sono le qualificazioni, e se non ti vanno bene resti a casa. Non è un mica un diritto andare al mondiale”.

Per la seconda volta di fila, non andiamo ai mondiali. Che sta accadendo al calcio italiano?
“Il calcio italiano, quello giocato sul campo, non è male. Bisogna riconoscere che Mancini è stato sfortunato, ha avuto molte assenze. Adesso, però, si stanno recuperando alcuni giocatori. Abbiamo i giovani per poterci presentare al prossimo mondiale, e farlo in maniera importante”.

La Spagna, con il suo sistema di cantère, ha creato una squadra nazionale fortissima e dato molti campioni al calcio. Molti credono che vada presa a esempio…
“Ma anche noi in Italia abbiamo, nel settore giovanile, dei ragazzi interessanti e importanti. Tutti quelli che giocano in nazionale sono il prodotto dei vivai italiani. A me sembra che l’Italia che abbia fatto sempre molto bene a livello europeo e mondiale. Penso che si debba fare i conti con i “periodi”. Ce ne sono alcuni in cui vengono fuori più talenti, altri meno. Ne abbiamo passato uno in cui c’eravamo un po’ spenti, secondo me adesso stiamo recuperando”.

Con il suo urlo, oltre a essere diventato un’icona nazionalpopolare è divenuto pure il simbolo del calcio di una volta. Oggi, che c’è più business, molti indulgono alla nostalgia dei tempi che furono. Si può tornare indietro?
“Non si torna più indietro”.

E lei, che è Tardelli, l’eroe della notte di Madrid, ha nostalgia per quel calcio?
“Io sono dell’idea che si debbano vivere le varie ere, che sono diverse l’una dall’altra. Di conseguenza, per me, non ho nostalgia del calcio dei miei tempi. Semmai ho nostalgia per quando giocavo io (ride ndr). Ci sono cose positive e negative. Bisogna vivere e accettare quello che hai nel momento che vivi. Quello di oggi è un calcio diverso rispetto al mio, non è che sia peggio o meglio. Giudicherà chi ha visto più epoche quale sia stato il migliore. Personalmente non mi sento né di accusare questo calcio né di ricordare con nostalgia quello di prima. L’ingresso del soldo nel calcio ha fatto migliorare molte cose e ne ha peggiorate altre”.

Tipo?
“Tipo il discorso sui diritti umani, questo è uno dei casi più eclatanti di ciò che è stato peggiorato dal denaro. Tuttavia ha anche migliorato qualcos’altro. Come la preparazione degli atleti, la qualità della vita del giocatore, gli stadi. Tantissime cose. Adesso un giocatore è molto più controllato, sia psicologicamente che fisicamente. È più protetto. D’altro canto, però, lo è meno quando lo si fa giocare troppo”.

Cosa sogna oggi Marco Tardelli?
“Ormai niente, cosa devo sognare (ride di nuovo ndr). No, no: sogno che lo sport sia merito, rispetto e che ritorni ad avere i valori di una volta”.


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