Esteri

Ma l’Occidente che Minskia dirà mai?

di Redazione -


di Emanuele Dessì

Oggi sono a Minsk, la capitale della Bielorussia e partecipo in delegazione con Petrocelli, Camilli e Crucioli alle celebrazioni internazionali in cui si commemora la rivoluzione d’ottobre e si festeggia la conquista del Palazzo d’Inverno.
Questa ricorrenza, che equivale a giornate come il 25 aprile italiano, per gran parte del mondo occidentale non ha più nessun significato.
Sulla scorta di questa indifferenza si tende, con estrema leggerezza, a sottovalutare fenomeni geopolitici di grande portata.
Nel “resto del mondo” si sta preparando una partita fondamentale e queste ricorrenze, che ricordano le gesta e la passione rivoluzionaria dei popoli nel passato e nel presente, servono a rinsaldare quello spirito di fraternità internazionale che è alla base della costruzione di un mondo multipolare.
Un legame necessario, se non obbligato, tra tutti coloro che ormai non si riconoscono più nella schizofrenica smania di egemonia degli anglo-americani, possibile solo grazie alla complicità dei governi della vecchia e debole Europa.
Il resto dei paesi del mondo, BRICS in testa, insieme a tutti gli stati cosiddetti “non allineati”, sono stanchi e nauseati dall’indegna pratica delle sanzioni economiche che ha colpito nel corso degli anni paesi che non hanno mai fatto del male a nessuno ma che hanno avuto la sola colpa di non piegarsi all’imperialismo statunitense, come ad esempio Cuba, il Venezuela e il Nicaragua.
Oggi questi paesi non vogliono più subire ulteriori danni alla loro economia, alla loro indipendenza ed alla loro storia e hanno deciso di guardare da un’altra parte.
Il grande capitale, non potendo ormai più contare sul controllo della produzione manifatturiera, energetica e della sovranità alimentare gioca la sua ultima e definitiva battaglia puntando tutto sulla potenza militare e sulla high tech.
Tutto questo mentre i restanti 6 miliardi di persone vogliono la pace e una convivenza serena.
L’Italia in questo quadro avrebbe potuto giocare un ruolo diverso, primario dal punto di vista politico e diplomatico, perché nessuno aveva mai considerato il nostro paese come un nemico.
Per molti anni grazie alla nostra storia ed alla nostra capacità di relazione siamo stati visti da tutti come un esempio ma, purtroppo, gli ultimi governi hanno completamente ribaltato la nostra immagine.
Oggi siamo drammaticamente considerati una piccola colonia, poco libera ed incapace di determinare la propria condotta in politica internazionale.
Non vedere oggi, da italiani, quale rischio si corre nel farsi fagocitare dalla NATO, vuol dire condannarsi all’isolamento e ad un futuro incerto e pericoloso.
La nostra azione politica internazionalista, come forze alternative al sistema, vuole dare un segnale in questo momento drammatico.

Vorremmo trasmettere, con convinzione, che c’è una gran parte del popolo italiano ed europeo che non vuole chiudersi in una gabbia, vuole continuare a vivere libero, in armonia con gli altri popoli, nel rispetto reciproco delle proprie culture e delle proprie democrazie.


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