Makka rimarrà libera dopo la condanna a oltre 9 anni per aver ucciso il padre
Makka Sulaev, la giovane cecena che il primo marzo dell’anno scorso a Nizza Monferrato uccise il padre Akhyad Sulaev durante una lite familiare, è stata condannata dalla Corte d’assise di Alessandria a 9 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario. Caduta la tesi della premeditazione, non accettata quella dei suoi avvocati che sostenevano la legittima difesa, ha ricevuto una condanna superiore a quella richiesta dal pm ma alla fine non sconterà i domiciliari in attesa del processo d’appello, poiché il giudice ha disposto come misura cautelare l’obbligo di firma. Un altro episodio per continuare ad alimentare il dibattito pubblico – l’atteggiamento dei pm e dei giudici ne è in qualche modo lo specchio – sui confini che ogni volta figli o mogli vittime di un ambiente familiare tossico e violento superano rendendosi autori di un omicidio.
Prima di Makka Sulaev le cronache si sono occupate a lungo della vicenda di Alex Cotoia che nel 2020 uccise il padre per difendere la madre da una situazione di violenza domestica. Il giovane di Collegno venne poi assolto al termine di un lungo iter processuale. Il 30 aprile del 2020, all’età di 18 anni, uccise il padre Giuseppe Pompa con 34 coltellate nella loro abitazione. Un gesto, secondo le testimonianze della madre e del fratello, per difendere la madre dalle ripetute violenze domestiche del marito, in un clima familiare segnato da anni di abusi e minacce. In primo grado, Alex fu assolto perché il fatto fu riconosciuto come legittima difesa. In appello, la sentenza fu ribaltata e Alex fu condannato a sei anni, due mesi e venti giorni di carcere, ritenendo la sua reazione sproporzionata rispetto alla minaccia subita. La Cassazione annullò poi la sentenza di secondo grado ordinando un nuovo processo. Nel gennaio di quest’anno la Corte d’Assise d’Appello di Torino lo ha definitivamente assolto, confermando la legittima difesa e chiudendo la vicenda giudiziaria.
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