Mala di Venezia non mafia del Tronchetto, i giudici sono divisi
La mala di Venezia che controllava i traffici acquei turistici è un’associazione criminale a delinquere pericolosa, ma non di tipo mafioso. A stabilirlo è il tribunale del capoluogo lagunare che condanna 23 dei 52 imputati a pene complessive per 132 anni, mentre la Pubblica accusa aveva sollecitato quasi 500 anni di prigione per tutte le persone tratte a giudizio. Dunque, il collegio presieduto da Stefano Manduzio conferma l’orientamento del Gip dello stesso tribunale di Venezia che aveva condannato con rito abbreviato Loris Trabujio a 12 anni di reclusione, salvo poi la Corte d’Appello un mese fa aggravare la pena a 20 anni di carcere perché ha riconosciuto l’aggravante mafiosa del 416 bis. Per i giudici di primo grado, insomma, le estorsioni e le rapine commesse in maniera sistematica dalla banda guidata anche da Gilberto Boatto (cui sono stati inflitti 22 anni e 7 mesi di reclusione) e Paolo Pattarello (15 anni e 7 mesi) non avevano la firma del clan mafioso quantunque fossero della massima gravità. Tra i 29 imputati assolti anche l’avvocata padovana Evita Della Riccia, per la quale il Pm antimafia Giovanni Zorzi aveva sollecitato 9 anni di carcere e Sara Battagliarin, compagna di Trabujo anche per la quale il Pm aveva chiesto 9 anni di reclusione. Per la legale Della Riccia è la fine di un incubo davvero tragico perché le è costato tantissimo, anche un pesante procedimento disciplinare, e adesso i giudici le restituiscono l’onore professionale. Come lei si è sempre difesa in questi anni in cui ha protestato la propria innocenza: “Ho svolto il mio mandato nei termini della legge, ma travalicandola”.
Emerge in maniera plastica la divisione tra giudici del Tribunale e della Corte d’Appello di Venezia su quale tipo di organizzazione criminale fosse quella che per alcuni anni ha dettato legge tra canali e calli della più bella città del mondo. Se per i giudicanti di primo grado la gravità degli atti commessi da Trabujo, Boatto e Pattarello era da ricomprendersi in un perimetro di criminalità organizzata “normale” quantunque pericolosa come testimonia la cifra delle pene, per i colleghi dell’Appello (che hanno giudicato l’abbreviato del tribunale) quegli stessi fatti devono essere letti con occhiali più severi, tipici dell’associazione criminale di stampo mafioso. La caduta dell’aggravante mafiosa per gli imputati di primo grado fa dire all’avvocato Giovanni Gentilini che “da quello che era emerso in dibattimento è un verdetto largamente annunciato, perché dice che Pattarello non era un mafioso e non ha mai fatto uso di un metodo mafioso”. I due imputati Pattarello e Boatto sono anziani, soprattutto il secondo che ha 80 anni, e la severità della pena è dovuta all’applicazione della recidiva che fa salire la pena di un terzo e qualora fosse confermata in Cassazione ha il sapore della pena perpetua. Anche se potrebbe essere scontata ai domiciliari vista l’età. Certo, se è vero che la tesi della Procura della Repubblica viene in parte ridimensionata dalla sentenza (ed è probabile che sarà appellata una volta lette le motivazioni), tant’è che è caduta anche l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga, è altrettanto vero che l’impianto accusatorio per le modalità con cui l’associazione si muoveva viene confermato come dimostrano l’entità delle pene per i principali protagonisti. Quanto ai distinguo tra la Procura di Venezia che ha insistito nel contestare ai principali indagati l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale riconosciuto in Appello) nonostante il Gip prima e il Tribunale del riesame successivamente avessero ritenuto che si trattasse di un’associazione per delinquere semplice, essi continueranno a confrontarsi anche in Appello e Cassazione cui spetterà di mettere il timbro finale fra qualche anno. Dei 67 imputati di cui era stata chiesta la condanna nei vari gradi, 38 sono stati riconosciuti responsabili dei reati loro contestati. Tra l’altro, dopo tre giorni di camera di consiglio non essendo stata riconosciuta l’aggravante mafiosa da parte del Tribunale sono cadute le 18 imputazioni di concorso esterno che disegnavano un sistema criminale che a Venezia era strutturato in maniera quasi “militare”. Resta provato, comunque, che i cosiddetti “mestrini” si erano specializzati in attività criminali condite da estorsioni e rapine che sapevano terrorizzare la città lagunare.
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