Politica

Mandateli a lavurà

di Giovanni Vasso -

GIANCARLO GIAN CARLO GIORGETTI MINISTRO


Sembrava una giornata come tante altre. La mattinata era iniziata con gli italiani che correvano su Google a informarsi su cosa fosse l’armocromia e su chi sia la consulente di shopping che Elly Schlein ha presentato ai lettori della popolare ma scicchissima rivista di Vogue. Intanto il Senato votava tranquillamente lo scostamento di bilancio. Nel pomeriggio, sui social iniziavano a correre i meme sul gusto della segretaria Pd nell’abbigliamento e sul costo delle parcelle del servizio, ultimissima novità non più in fatto di moda ma, evidentemente, anche di politica. Nel frattempo, la Camera votava lo scostamento di bilancio. A questo punto è svoltata la giornata degli italiani: con 195 sì, 105 astenuti e 19 contrari, la proposta (che avrebbe dovuto essere votata dalla maggioranza assoluta dell’aula) non è passata. È tutto da rifare, per il povero Giorgetti. Che si è ritrovato davanti a un’opposizione passata, in un batter d’occhio, dalla titubanza per le scelte di comunicazione e politiche di Elly all’entusiasmo per il primo, serio, kappaò del governo Meloni in parlamento. Perché non è solo una questione contabile, di freddi numeri. Non era mai successo prima, è accaduto ieri: per la prima volta nella storia, il governo va sotto sul Def.
Al Senato, era filato tutto liscio. I senatori, compatti e ligi al dovere, avevano fatto quanto ci si aspettava da loro. 115 sì, 29 contrari, altrettanti astenuti. Primo round a casa. Ma il bicameralismo italiano è perfetto. C’era la seconda ripresa. Una formalità. Almeno in teoria. Nella pratica, una scoppola. Già, perché servivano 201 voti favorevoli, ne sono arrivati sei di meno. Scostamento bocciato. Ora, come nel gioco dell’oca, torna indietro di due caselle. Il documento fondamentale per il varo del Def, infatti, dovrà tornare in consiglio dei ministri e quindi dovrà ripassare all’esame di Palazzo Madama. Solo allora, ritornerà a Montecitorio. Dove, ad attenderlo, sperano Giorgetti e Meloni, ci siano anche i 26 deputati di maggioranza (undici della Lega, nove di Forza Italia, cinque di Fratelli d’Italia e uno di Noi Moderati) che ieri sono risultati assenti alla chiama decisiva.
In realtà, gli assenti erano 45. Ma diciannove di loro, in missione, erano più che giustificati. Gli altri, invece, non lo erano. Giancarlo Giorgetti l’ha presa malissimo. E non poteva essere altrimenti. È desolato, il ministro all’Economia e alle finanze. Ha pronunciato una sola frase, dopo la bocciatura dello scostamento di bilancio. Nove parole, che suonano fredde come una solenne tirata d’orecchi alla sua stessa maggioranza. “Il problema è che i deputati non si rendono conto”. Non l’ha presa benissimo nemmeno Giorgia Meloni che s’è premurata di gettare acqua sui pettegolezzi politici: “Un brutto scivolone, non è un segnale politico”. E se ne faccia una ragione il ministro Sangiuliano che si era premurato, invece, di negare che quanto accaduto fosse, appunto, uno “scivolone”. Perché, una volta tanto, la questione non sarebbe da ricercare nelle solite e compassate liturgie politiche. Cioè, per dirla piana: non si tratterebbe di un “segnale” di scontentezza politica lanciato da qualcuno all’indirizzo della premier (sicuri?) e del suo governo. Ma, più banalmente, si sarebbe trattato di una svista “aritmetica”. Il che, in fondo, sarebbe anche peggio. Qualcuno non s’era fatto bene i conti, sussurrano i bene informati, e così non ci si è preoccupati troppo delle 26 assenze ingiustificate nelle fila della maggioranza. Che, però, sono state decisive. E complicano, maledettamente, il lavoro del governo nel peggiore momento possibile: il braccio di ferro in corso con l’Europa sulle modifiche al Pnrr, sul nuovo patto di stabilità e i correttivi da proporre, sulla ratifica del Mes.
Il clamoroso flop ha dato fiato alle trombe della minoranza, che dopo qualche minuto di incredulo silenzio ha festeggiato in aula, ma ha anche indotto il consiglio dei ministri a riunirsi d’urgenza per l’esame del Def. La riunione, convocata per le 18.30, è durata pochissimi minuti. Una formalità da sbrigare. Così è stato. Appena il tempo di approvare una nuova relazione al parlamento lasciando tutto così com’era.
Intanto, alla Camera il presidente Lorenzo Fontana ha convocato la riunione dei capigruppo per tentare di rivotare sul documento. L’appuntamento, fissato inizialmente per le 18.45 è stato rinviato a dopo la seduta del Cdm, alle 19.15. Intanto le linee telefoniche tra Roma e Londra si facevano sempre più bollenti. La notizia del flop alla Camera ha raggiunto Meloni durante il viaggio istituzionale in Gran Bretagna. L’episodio avrebbe irritato molto, per dirla con un eufemismo, la premier Meloni. In serata è arrivata la prima nota in agenda: oggi, alle ore 14, lo scostamento torna al Senato.
Intanto, il M5s ha gigioneggiato sul “governo dei pronti” e ha parlato di “un fallimento epocale di cui non si ricordano precedenti simili nella storia repubblicana”. Per i Cinque Stelle: “Quanto accaduto alla Camera certifica tutta l’approssimazione e la sciatteria del governo dei pronti. O forse nella maggioranza c’è stata una definitiva presa di consapevolezza sull’evanescenza del Documento presentato da Meloni e Giorgetti”.
E a proposito del ministro, i parlamentari pentastellati infilzano il centrodestra: “Quest’ultimo ha dichiarato che molti deputati non si sono resi conto: se così fosse, abbiamo una fotografia definitiva dell’inadeguatezza dell’attuale maggioranza”. Dopo aver passato una giornata a sorbirsi accuse e sfottò del web, Elly Schlein è tornata a incassare “like” e, armocromia o no, gliene ha dette di tutti i colori a governo e maggioranza: “O siamo di fronte a un episodio di imperdonabile sciatteria o alla prova conclamata delle divisioni della maggioranza. In entrambi i casi si dimostra la totale inadeguatezza di questo Governo e di questa maggioranza, che dovranno risponderne davanti al Paese”.

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