Economia

Manovra promossa a metà ma sul Patto è notte fonda

di Giovanni Vasso -


Patto e manovra, da Bruxelles una notizia cattiva e un’altra buona a metà per l’Italia. La manovra del governo, nonostante il pieno di consensi delle agenzie di rating, non ha convinto del tutto la Commissione Ue che l’ha considerata “non pienamente in linea” con le raccomandazioni inviate a maggio scorso a Palazzo Chigi. Mal comune, mezzo gaudio: l’Italia non è l’unica dei rivedibili, dei rimandati anziché a settembre alla prossima primavera. Anzi. La Francia, per esempio, ha ottenuto una bastonatura solenne con la bocciatura totale della sua manovra. Insieme a Belgio, Finlandia e Croazia. Solo Cipro, Estonia, Grecia, Spagna, Irlanda, Slovenia e Lituania hanno ottenuto la promozione piena. Tra i “monelli” di Ursula, quelli col disco giallo, oltre all’Italia c’è tutto il gruppo dei frugali: Austria, Lussemburgo, Lettonia, Paesi Bassi, oltre a Malta, Portogallo e Slovacchia. E qui, in questo gruppo di svogliati che non si sono applicati abbastanza c’è anche la Germania. Che però adesso fa saltare il banco sul nuovo Patto di stabilità.
Non c’è bizantinismo che tenga di fronte alle ragioni elettorali. Non c’è alcun margine di trattativa. Il Patto di stabilità, per ora, non s’ha da fare. La presidenza spagnola ha preso atto del fatto che la distanza tra i Paesi membri è siderale. E che nessun governo cederà di un millimetro dalle sue posizioni. Perché tutti dovranno confrontarsi col voto. E dovranno farlo a breve, già a giugno prossimo. Perciò la riunione dell’Ecofin che Madrid, presidente di turno, avrebbe voluto convocare per fine mese è slittata. A data da destinarsi. In compenso, però, sarà organizzata una cena tra i leader per fare il punto della situazione. La cena delle beffe si terrà il 7 dicembre prossimo. Sperando che i raffinati manicaretti non vadano di traverso a nessuno.
Il braccio di ferro è sempre il solito. La Germania non ha la minima intenzione di fare un passo indietro sul debito. “Non esiste debito buono o cattivo, è sempre debito”, aveva detto qualche settimana fa il ministro tedesco Christian Lindner. Che, da leader dei Liberali, si sta già attrezzando per la campagna elettorale. E sa benissimo che c’è una sola cosa che i suoi elettori vogliono: nessuna tregua a quei mangiaspaghetti, suonatori di mandolino italiani (e mediterranei in genere) che invece di lavorare campano sulle spalle degli altri. Ma non tutti i tedeschi titillano la pancia del loro elettorato. C’è chi sogna più in grande. Come Manfred Weber, leader del Ppe, che ha mandato un messaggio chiaro: “Le regole del nuovo patto di stabilità vanno gestite e strutturate in modo che siano possibili gli investimenti nel futuro, nelle infrastrutture dei nostri Paesi. È questo ciò di cui abbiamo bisogno”. Weber sogna di prendere il posto oggi occupato da Ursula von der Leyen. Anche lui è agito dalle logiche elettorali. Però, a ben vedere, c’è più succo in questa posizione che in quella di Lindner. Già, perché le ragioni dell’Italia, in parte, sono anche quelle della Francia. E, più in generale, di chi – oltre alle elezioni – cerca di guardare un po’ più in là. E se i paletti si stringono, gli investimenti scompaiono e l’Ue, che è già mestamente indietro sui temi decisivi, dall’intelligenza artificiale fino alle terre rare e all’innovazione (quella vera, però, non soltanto quella ideologica), rischia di consegnarsi definitivamente a un futuro di subalternità alle grandi superpotenze internazionali, Usa e Cina su tutte.
Intanto, Raffaele Fitto – ministro alle politiche Ue – suona la campana. Per l’Italia. Senza accordo, tornerà in vigore il vecchio patto. Il che vuol dire che, dal 4%, il debito dovrà scendere al 3% nelle Nadef. Fuor dai tecnicismi: di riffa o di raffa, vincerebbe comunque il rigore tedesco e dei suoi sodali frugali. Per Berlino, la questione del Patto di stabilità è un’operazione win-win. Questo per quanto riguarda il Patto, per la manovra le cose invece sembrano andare in maniera migliore. Anche se nel frattempo a Giorgetti sarà tornato quel famoso mal di pancia. Già, perché al centro dei rilievi della Commissione sulla manovra italiana, c’è ancora una volta il Superbonus. Che ha fatto lievitare la crescita della spesa pubblica oltre i limiti raccomandati da Bruxelles. “Squilibri macroeconomici eccessivi”, la sentenza dell’Ue. Non è tutto, perché la Commissione ritiene che l’Italia abbia sbagliato a usare il risparmio di bilancio che arriverà dalla fine delle politiche di compensazione sui rincari energetiche per la spesa pubblica: “Le misure di emergenza a sostegno energetico dovevano essere ridotte entro la fine del 2023. Tuttavia, non si prevede che i relativi risparmi siano pienamente utilizzati per ridurre il disavanzo pubblico nel 2024. Allo stesso tempo – si legge ancora nel parere -, l’Italia dovrebbe preservare gli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale. E dovrebbe inoltre continuare a garantire l’effettivo assorbimento delle sovvenzioni del Pnrr e di altri fondi dell’Ue”.
Il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, assicura che non si tratta di bocciatura ma di un invito a usare prudenza nel redigere la manovra. Le elezioni incombono anche per lui. Ma il ministro Giancarlo Giorgetti ostenta sicurezza e non fa un plissé: “Accogliamo il giudizio della commissione. Tutto come previsto: nonostante l’eredità dell’impatto negativo di energia e superbonus andiamo avanti con sano realismo”.


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