Nel silenzio dell’Alpe il volo spezzato dell’orafo Paglicci
Il silenzio dell’Alpe della Luna è stato rotto solo dal ronzio degli elicotteri dei soccorsi. Poi, ieri mattina, un grido via radio: “Trovato il relitto”. L’Agusta Westland 109, scomparso dai radar domenica pomeriggio, giace distrutto e bruciato in un canalone tra i boschi di Badia Tedalda, sul versante aretino al confine con le Marche. È lì che si è fermato il volo di Mario Paglicci, 77 anni, imprenditore orafo simbolo di Arezzo, e del suo amico Fulvio Casini, 67 anni, titolare di un’impresa immobiliare a Sinalunga. Il ritrovamento è avvenuto dopo ore di ricerche incessanti, condotte da vigili del fuoco, soccorso alpino, carabinieri e squadre del 118.
L’elicottero è stato avvistato dall’alto, accartocciato tra la vegetazione, poco sotto la vetta dell’Alpe della Luna. Le squadre di terra hanno dovuto farsi largo tra rovi e fango per raggiungerlo. “Zona impervia, visibilità scarsa, altitudine difficile”, hanno riferito i soccorritori ai giornalisti. Il relitto, bruciato quasi interamente, lasciava poche speranze.
Il messaggio di Paglicci alla figlia prima dell’incidente
L’ultimo segnale è stato un messaggio Whatsapp inviato da Paglicci alla figlia: poche parole, “abbiamo un’avaria”. Poi, il silenzio. Nessun contatto radio, solo la traccia di volo che si interrompe mentre il velivolo sorvolava Badia Tedalda, l’ultimo comune aretino prima del confine con le Marche. Più tardi, nella zona di Borgo Pace, alcuni testimoni hanno raccontato di aver udito un boato e visto un bagliore nel buio. L’elicottero, di proprietà dei due imprenditori, aveva base all’aviosuperficie “Serristori” di Castiglion Fiorentino, nel cuore della Valdichiana. Era decollato domenica mattina per una breve trasferta di piacere al Lido di Venezia, dove Paglicci aveva inviato ai familiari un ultimo video dall’aeroporto Nicelli: sorrideva nell’abitacolo, pollice alzato, pronto a ripartire verso casa.
“Ci ha lasciato con il sorriso e l’ottimismo che solo un grande imprenditore può possedere”, ha scritto la nipote Alessandra in un messaggio di addio che è già diventato un commosso saluto collettivo. Le ricerche erano scattate subito dopo l’allarme lanciato dalla figlia di Paglicci. Da Arezzo a Pesaro, fino a Perugia, il dispositivo di emergenza ha coinvolto tre regioni. Anche l’Aeronautica militare aveva fatto decollare un elicottero con strumentazioni speciali per rilevare tracce di calore o residui metallici a terra, ma le condizioni meteo e le fitte nuvole avevano reso impossibile proseguire nella notte.
Nella mattinata di ieri, finalmente, la svolta
L’elicottero è stato individuato nel bosco di Montedoglio, in un canalone profondo e difficilmente accessibile. La zona è stata messa in sicurezza prima di ispezionare l’interno della cabina. Le autorità mantengono il riserbo, ma non si nutrono illusioni: “Il velivolo è completamente distrutto”, hanno riferito i vigili del fuoco. L’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) ha aperto un’inchiesta di sicurezza, inviando sul posto un proprio team investigativo per raccogliere tutti gli elementi utili a ricostruire le cause dell’incidente.
Le ipotesi sull’incidente di Mario Paglicci
L’ipotesi più probabile resta quella di un guasto improvviso al motore, ma solo l’analisi delle parti rimaste potrà chiarire cosa sia davvero accaduto nei minuti in cui l’elicottero ha perso quota. Mario Paglicci era un pioniere. Un uomo che aveva fatto dell’oro di Arezzo un marchio nel mondo. Dalla Gi.Or, fondata con il fratello Giancarlo negli anni Sessanta, era nata la Gimet, poi la Paglicci Group, una holding che oggi conta quattro aziende e oltre duecento dipendenti. Un impero costruito con l’intelligenza artigiana e l’energia di chi non ha mai smesso di sognare.
Il ricordo di chi lo conosceva
“Era attaccatissimo alla vita – racconta la famiglia – e aveva sconfitto malattie gravissime con una forza indicibile”. Appassionato di volo e di motori, Paglicci usava l’elicottero come altri usano l’auto: per raggiungere fiere, clienti, amici. “Volare era il suo modo di pensare – dice chi lo conosceva -, sempre più in alto, sempre un passo avanti”. Anche il figlio Gianluca, oggi alla guida operativa del gruppo, ha ereditato da lui la passione del rischio: negli anni ’90 è stato pilota di Formula 3 e Formula 3000, portando il nome Paglicci nei circuiti internazionali.
L’amico di sempre, Fulvio Casini, era con lui in quell’ultimo viaggio. Imprenditore solido e riservato, gestiva un’impresa immobiliare a Sinalunga, nel Senese. Condividevano lo stesso gusto per l’avventura e la stessa fiducia nella vita. “Due toscani uniti dal lavoro e dall’amicizia”, li ha ricordati il presidente della Regione Eugenio Giani, che ha seguito le ricerche e ringraziato i soccorritori “per l’impegno profuso in condizioni difficilissime”.
Individuati i resti
Sulle montagne tra Toscana e Marche, il vento ieri ha spazzato via le ultime nebbie del mattino, consentendo ai mezzi di soccorso di individuare i resti del velivolo. Resta, sospesa nell’aria, l’immagine di un uomo che aveva fatto dell’eleganza del gesto il suo modo di vivere. Un imprenditore che aveva imparato a domare il metallo più prezioso e a sfidare il cielo. E che nel suo ultimo volo ha portato con sé il sogno che lo aveva accompagnato per tutta la vita: volare alto, sempre più alto.
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