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Corte di Giustizia Ue: “Matrimoni gay validi ovunque”. Italia pronta alla resa?

La Corte di Giustizia Ue stabilisce che i matrimoni gay celebrati in un Paese Ue devono essere riconosciuti ovunque. Italia: tra unioni civili, dubbi giuridici e l’allarme di Luigi Bobbio sulla sovranità.

di Anna Tortora -


L’ultima sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha scosso l’equilibrio, già precario, tra legislazione nazionale e vincoli sovranazionali.
Il caso nasce da due cittadini polacchi, sposati in Germania, ai quali il loro Paese aveva negato il riconoscimento del matrimonio omosessuale, non previsto né ammesso dall’ordinamento polacco.
La Corte Ue ha deciso diversamente: tutti gli Stati membri sono tenuti a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso legalmente contratti in un altro Paese dell’Unione.
Una pronuncia che apre un fronte giuridico e politico tutt’altro che banale.

Italia: ci sono le unioni civili, ma non il matrimonio egualitario

In Italia, è bene ricordarlo, le coppie omosessuali sono già tutelate attraverso le unioni civili, una scelta deliberata del Parlamento nel 2016, frutto di un equilibrio tutto italiano tra riconoscimento giuridico e tradizione costituzionale.
Un equilibrio che, con questa decisione europea, rischia di essere spinto verso un’equiparazione automatica e non discussa tra unione civile e matrimonio, con effetto diretto sull’ordinamento.

Matrimoni gay UE: la denuncia di Bobbio

Su questo punto interviene con toni durissimi il magistrato ed ex senatore Luigi Bobbio:
«L’Italia accetterà supinamente anche questa ennesima, orribile imposizione? Peraltro, sulla correttezza giuridica di questo dictum c’è tutto da discutere. Infatti, la CEDU è andata molto oltre il suo compito e il suo potere. Essa, infatti, non ha fatto applicazione di una norma europea ma ha addirittura, di fatto, stabilito che le leggi nazionali di singoli stati della UE devono trovare indiretta applicazione anche negli altri! Voglio vedere cosa accadrà quando si pronuncerà in tema di eutanasia, ad esempio. È ora che l’Italia rivendichi i suoi spazi di sovranità.»
Una critica frontale che mette in luce l’aspetto più esplosivo della vicenda: non la tutela delle coppie, ma lo sconfinamento istituzionale.
Il rischio, secondo Bobbio, è che una decisione del genere trasformi l’Unione in una macchina giudiziaria capace di esportare automaticamente le scelte di un Paese dentro l’ordinamento di un altro.

La questione di fondo: chi ha l’ultima parola?

Argomento delicato, soprattutto perché riguarda uno dei pochi ambiti, l diritto di famiglia , che i Trattati lasciano esplicitamente alla competenza degli Stati.
La domanda, allora, non è “pro o contro il matrimonio gay”:
la domanda è chi decide.
Il Parlamento italiano, come avvenuto per le unioni civili?
O un organo sovranazionale che interviene ridefinendo d’autorità ciò che l’Italia ha scelto di regolare diversamente?

Sovranità in bilico

Questa sentenza non chiude il dibattito. Lo apre, e lo fa nel punto più sensibile: la sovranità sulle scelte identitarie fondamentali.
Se l’Italia accetterà supinamente questa imposizione, rischia di cedere pezzi importanti della propria autonomia legislativa e politica.
E la vera domanda che rimane sul tavolo è semplice, ma radicale: siamo ancora noi a decidere le regole della nostra società, o qualcuno ha già deciso per noi?

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