Tutti in fila al Mef, i nodi deficit e armi sulla manovra
Urso e Pichetto stringono l'intesa con Parigi e Berlino sulle industrie energivore
Ieri Giorgetti s’è dedicato a celebrare il turismo ma al Mef c’è stata la fila dei questuanti; di lusso, chiaramente: la manovra ormai incombe e già domani, in sede di consiglio dei ministri, arriverà il Dpfp, il documento programmatico di finanza pubblica che sostituisce la Nadef. Una volta licenziato da Chigi, il documento approderà in Parlamento e si inizierà a entrare nel vivo del dibattito. Come se, finora, si fosse restati inoperosi. Solo ieri ben due ministri hanno fatto giungere, pubblicamente, voti e richieste al “collega” di via XX Settembre. Orazio Schillaci, titolare del dicastero alla Salute, ha fatto sapere che sono state avviate “interlocuzioni” per tentare di strappare qualche miliardino in più per la sanità al Mef in vista della manovra. Magari un paio, forse tre. Contestualmente, Eugenia Roccella, ministra alla Famiglia, ha parlato delle proposte per “rivedere l’Isee” e ha dichiarato, a The Young Hope, che sarebbe felicissima “di vederle in Finanziaria”. Il dibattito, sull’indicatore della situazione economica, rientra nelle misure per il ceto medio che si ritrova, puntualmente, sbattuto fuori da ogni bonus e misura di sostegno. E, a proposito di ceto medio, il viceministro al Mef Maurizio Leo ha ribadito che la volontà sarà proprio quella di venire incontro alle famiglie e alla middle class ma che, contestualmente, “occorrerà essere rigorosi sui conti”. Del resto è inutile girarci attorno: l’inflazione, ha spiegato ieri l’Istat, è scesa a settembre dello 0,2% mentre il carrello della spesa ha rallentato la corsa al 3,2% rispetto al 3,4% di agosto. Una buona notizia ma non ottima dal momento che i prezzi restano alti e i consumi, già magri, rischiano di assottigliarsi ancora di più. Le famiglie, in un momento di incertezza come questo, sognano di tornare a intingere i panini nel burro ma i soldi serviranno, prima di tutto, a portare il deficit sotto il 3% del Pil e ciò che resta, almeno da Bruxelles, si auspica venga speso in cannoni. Un bel dilemma, per Giorgetti. Che dovrà pure trovare una soluzione sugli extraprofitti delle banche. Ieri, di nuovo, è arrivato l’avviso della Federazione dei bancari, il sindacato delle banche: saranno i cittadini a pagare nuove, eventuali, tasse al credito: “Ogni imposizione fiscale straordinaria viene inevitabilmente scaricata, da un lato, sui clienti, che si ritrovano a pagare mutui, prestiti e servizi bancari più cari, e dall’altro sui lavoratori, che finiscono per subire penalizzazioni economiche e contrattuali”, ha affermato a Mattino 5 Lando Maria Sileoni.
Ma un altro (grande) capitolo della manovra di quest’anno riguarda il futuro dell’industria e, una volta tanto, il Mef non ne è strettamente protagonista. Anche perché è questione legata, a filo doppio, ai costi dell’energia. I ministri Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin hanno deciso di fare squadra e di stringere una Triplice intesa “energetica” a Bruxelles con Germania e Francia. Sul tavolo della Commissione finirà un non-paper in vista dell’Idaa, l’Industrial decarbonization accelerator act. Il succo della proposta, oltre a voler semplificare e rendere più flessibile il solito paletto degli aiuti di Stato, è quello di trovare una soluzione che metta insieme agli obiettivi green la salvaguardia dell’industria. Da parte italiana, è stato posto l’accento sulle modifiche del Cbam, il meccanismo che in buona sostanza dovrebbe imporre dazi ai prodotti stranieri che non rispettino i limiti in termini di emissioni di carbonio, e sulla necessità di trovare uno strumento che salvi la produzione europea di acciaio che, in tempi di sovraccapacità globale (e di norme strette) rischia di finire fuori mercato. In più c’è la questione delle industrie energivore (al cui interno andranno annoverate anche quelle produttrici di carta, vetro, ceramica, cemento, chimica e batterie) e la necessità di poter abbattere, a loro favore, gli oneri di sistema. Urso ha chiesto alla Commissione “di agire subito e con misure concrete: energia a costi competitivi, capitali privati per investimenti verdi, regole comuni e difesa da pratiche sleali”. Perché, ha spiegato, “senza interventi rapidi e mirati, rischiamo di perdere posti di lavoro, capacità produttiva e autonomia strategica”. Pichetto gli ha fatto eco: “Le imprese energivore rappresentano un pilastro del nostro sistema produttivo e necessitano di strumenti concreti per affrontare la transizione energetica senza perdere competitività. È fondamentale garantire loro l’accesso a fonti pulite a condizioni vantaggiose, intervenendo anche sui costi di rete che gravano sull’ energia rinnovabile prodotta in Italia. In questo modo sosteniamo insieme la competitività delle imprese e il percorso di transizione energetica”.
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