Messi non va a Como ma in questa A ci sarebbe stato benissimo
Sarebbe stato l'emblema della silver age del calcio italiano
Messi al Como non ci arriverà mai. Forse, chissà. Magari quando avrà già appeso gli scarpini al chiodo e gli verrà la fregola di provare l’ebbrezza della panchina, iniziando magari vicino al suo amico Cesc Fabregas. Eppure, Messi al Como sarebbe perfetto in questa Serie A. Già, perché sarebbe il sigillo perfetto, la certificazione di quello che è diventato il campionato che, una volta, fu il più bello del mondo. Un cimitero degli elefanti. E nemmeno di prima fascia. Se è vero, come è vero, che Messi al Como non verrà mai, preferendo restarsene al calduccio di Miami, coccolato dai dollaroni degli sponsor, Adidas in testa.
Serie A-rzilla
Ciro Immobile è tornato in Italia, vestirà la maglia del Bologna, ha 35 anni. Insieme a lui c’è Federico Bernardeschi, che di anni ne ha solo 31, ma di vite calcistiche ne ha vissute almeno tre. L’ultima, di ritorno dal Canada, dove non ha fatto brillare Toronto. Né lui né Lorenzo Insigne, di anni 34, pronto al rientro in Italia, in cerca di squadra e forse si accaserà alla Lazio del suo ex mentore Maurizio Sarri negli anni ruggenti di Napoli. Che, dopo aver vinto il quarto scudetto, dà la caccia al quinto e, Arezzo permettendo (che scoppola, meno male che è un’amichevole d’estate), lancia l’Opa sul campionato con l’ingaggio del 34enne Kevin De Bruyne. Entusiasmo sulla fiducia, al punto da fargli indossare la dieci che fu di Maradona. E non è finita qui. Edin Dzeko, a 39 anni suonati, s’è accasato alla Fiorentina. Coetaneo di Luka Modric, approdato al Milan di Allegri tra fanfare e celebrazioni. Ci manca solo Messi che, a 38 anni, non sfigurerebbe certo in un torneo il cui appeal è tale per cui il capocannoniere uscente, Matteo Retegui, piuttosto che restare preferisce andarsi ad arricchire (giustamente) in un club di mezza classifica in Arabia Saudita.
Messi non viene a Como ma gli Hartono potevano arrivare prima
Ecco, diciamo pure che se oggi è possibile, per Como (e per l’Italia) sognare l’approdo in riva al lago del re del calcio (per quanto sia sul via del tramonto) è solo grazie ai fratelli Hartono. Indonesiani, stracarichi di denaro, di amicizie e di visione imprenditoriale profonda e internazionale. Tale da fare di un piccolo, ma glorioso, club lombardo una squadra cool, di moda. Figa. Eppure, gli Hartono, in Italia, potevano arrivarci prima. Quando fallì il Bari, ormai una vita fa. Fecero una proposta per rilevare il club, il sindaco di Bari Antonio Decaro li snobbò spalancando le porte a De Laurentiis. Il resto è storia. Decaro, ancora oggi, difende la sua scelta e parla di documentazioni che non arrivarono mai. Ai tifosi baresi, in guerra aperta con la famiglia del “bigamo” Aurelio che tempo fa ebbe l’ardire di bollare i galletti come “seconda squadra” del Napoli, rimane il rammarico. Per gli Hartono, invece, una grande rivincita morale. Il loro Como è la squadra rivelazione di tutto. Sul mercato, nei risultati, nelle ambizioni.
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