Attualità

“Mio fratello avvocato fu ucciso in Veneto: disse di no alla mafia”

di Ivano Tolettini -


“Non ho perso la speranza che venga fatta luce sull’omicidio di mio fratello Piero, che all’epoca era uno dei massimi avvocati fallimentari del Veneto e di sua moglie Dina. Sono trascorsi da pochi giorni 33 anni da quel barbaro assassinio che insanguinò Vicenza e che ebbe così tanta eco non solo in tutta la regione. Ma oggi come allora, anche se è la prima volta che ne parlo pubblicamente, ricordo l’opinione di un investigatore che mi disse che Piero, che era l’allievo prediletto del prof. Trabucchi di Padova, era stato ucciso dalla criminalità organizzata che si stava infiltrando con forza in diverse province venete, mafia e ’ndrangheta magari unite da comuni interessi, perché si era opposto con fermezza a qualche affare che reputava non trasparente. Così decisero di farlo fuori perché era intransigente”. L’antiquario Giampaolo Fioretto di Firenze si augura sempre che un giorno la polizia del gruppo Cold Case di Roma, che nel 2015 aveva isolato il dna su un guanto di uno dei due killer, gli telefoni per annunciargli che finalmente il mandante e i sicari del fratello sono stati individuati e assicurati alla giustizia.

Gli assassini entrano in azione a volto scoperto la sera del 25 febbraio 1991 in contrà Torretti 24, in pieno centro a Vicenza, a due passi dal fiume Bacchiglione. Sono le 20.15, è una serata fredda e nebbiosa, quando due giovani alti il primo 160 cm, corporatura robusta, capelli scuri ondulati con gel, mentre il secondo 170-175 cm, carnagione olivastra e capelli scuri, affrontano armati di una pistola semiautomatica calibro 7.65, trovata poco lontano, e di un’arma giocattolo “Molgora” adattata che fu recuperata dopo qualche giorno vicino allo stadio Menti, il legale che è appena smontato dalla sua Alfa Romeo 164 nel cortile di un condominio. I criminali, ricostruiscono le indagini subito avviate dal pm Paolo Pecori, quel giorno erano stati anche nel vicino tribunale a chiedere informazioni su Fioretto. Si recarono anche nello studio di contrà Porti. Si muovono con assoluta tracotanza, convinti che non potranno essere riconosciuti. Una testimone prima di sentire crepitare le armi sente distintamente l’avvocato, che aveva 59 anni, urlare in faccia ai suoi carnefici: “Io vi denuncio tutti”. Un’altra inquilina racconta che avevano una parlata del centrosud. In quel momento anche la moglie Dina Begnozzi di 52 anni raggiunge il compagno perché era preoccupata avendo i due sconosciuti citofonato anche in casa, e viene freddata. Al professionista viene riservato il colpo in testa. “Un’esecuzione su commissione, ne sono convinto maturato in ambiente professionale”, racconta l’allora capo della squadra mobile di Vicenza, Pierincola Silvis, oggi scrittore, dopo avere chiuso la carriera da questore di Foggia. L’inchiesta che scioccò la città è stata chiusa e riaperta più volte dal ’91. Non venne trascurato alcun dettaglio. Nel 1999 l’allora procuratore capo Antonio Fojadelli ordinò l’audizione non solo di alcuni imprenditori di primo piano della concia che erano clienti della vittima, ma anche di altri due industriali interessati all’acquisto del Vicenza Calcio nelle cui trattative era intervenuto Fioretto. E poi ancora un notaio e altri uomini d’affari. Sospetti molti, certezze poche.

“Analizzammo montagne di documenti – ricorda Silvis -, Fioretto si occupava di transazioni molto onerose, ma non ne uscì nulla”. L’avvocato Gianfranco Rigon, 92enne, all’epoca presidente dell’Ordine e amico di Piero, è sicuro: “La sua dignità non la declinava con altri, era coraggioso, dal carattere complesso, preparatissimo, un numero uno. È una ferita che non si rimargina dopo così tanti anni. Sarebbe importante la verità”. A coltivarla sono i fratelli del legale, che si augurano un colpo di coda delle indagini che conobbero un momento non banale con la scoperta del dna su uno dei guanti appartenuti ai killer. “Spero di potere guardare in faccia almeno uno degli assassini al soldo della mafia, alla quale mio fratello sono sicuro disse di no, prima di morire – conclude l’83enne Giampaolo – per sapere chi fu il mandante”. L’anno dopo a Vicenza fu catturato il numero 2 di Cosa nostra, Piddu Madonia.


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