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Cronaca

L’ultima notte di Alex Marangon tra rituali, misteri e verità ancora da scoprire

di Francesca Petrosillo -


Il nome di Alex Marangon è entrato a gamba testa nella cronaca italiana come simbolo di una vicenda che ha profondamente scosso l’opinione pubblica, avvolto tra misteri e verità non dette.

La notte della morte di Alex Marangon

Alex ha 25 anni, lavora come barman a Marcon, in provincia di Venezia, e la notte tra il 29 e il 30 giugno 2024 partecipa a un raduno spirituale nell’abbazia di Santa Bona, a Vidor. È un incontro che promette musica, meditazione e rituali sciamanici, con l’uso di sostanze psicotrope come l’ayahuasca, vietata nel nostro Paese. Dalle testimonianze emerge che, durante la cerimonia, Alex appare da subito inquieto, fino a quando, a notte fonda, intorno alle 2:30, si allontana dal gruppo. Viene visto uscire a piedi nudi, inseguito da alcuni degli organizzatori. Poco dopo si odono rumori sordi, poi il silenzio.

Alle prime ore del mattino viene segnalata la sua assenza, ma i soccorsi partono con ritardo. Il suo corpo viene ritrovato solo due giorni dopo, lungo un isolotto del Piave. Ha una grave ferita alla testa e contusioni diffuse, ma non presenta acqua nei polmoni. L’autopsia evidenzia lesioni compatibili con un pestaggio, oltre al trauma cranico che risulta fatale. La morte non è immediata: la sofferenza è durata almeno venti minuti. Le analisi tossicologiche confermano la presenza di sostanze come cocaina, MDMA e ayahuasca: un mix potente che potrebbe aver alterato la lucidità di Alex, rendendolo vulnerabile e incapace di difendersi. Ma restano diversi dubbi: si è trattato di un incidente, di un gesto volontario o di un’aggressione? Intanto, emergono ulteriori anomalie: nella sua auto vengono trovate macchie sospette che fanno ipotizzare tracce di sangue.

Le indagini sulla morte

Le indagini tentano di capire se appartengano ad Alex o ad altre persone presenti quella notte. Intanto quattro persone risultano essere ufficialmente indagate: l’accusa ipotizzata è quella di morte come conseguenza di altro reato. Tra questi figurano gli organizzatori della cerimonia, Andrea Zuin e Tatiana Marchetto, insieme a due curanderos colombiani, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, indicati come i responsabili della conduzione del rito.

Il dolore della famiglia e la ricerca di verità

La famiglia rifiuta l’idea del suicidio inconsapevole: Alex viene descritto come un ragazzo pieno di energia e progetti, legato agli affetti e appassionato di spiritualità. I suoi cari chiedono che chi ha assistito parli, in particolare i due curanderos che hanno guidato la cerimonia e che dopo i fatti hanno lasciato l’Italia.

Alex è entrato nell’abbazia vivo e pieno di curiosità, è uscito poche ore dopo verso un destino oscuro. Ogni dettaglio che emerge non è bastato a chiarire, ma ad aggiungere un tassello a un quadro molto più che complesso. La sua morte resta un enigma che chiede ancora giustizia, tra sospetti, silenzi e verità non dette.

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