Monfalcone, la resa della Chiesa: campi sportivi parrocchiali trasformati in moschee a cielo aperto
A Monfalcone e Staranzano, in provincia di Gorizia, la Festa del Sacrificio islamica si è trasformata nell’ennesima dimostrazione di quanto l’Italia stia arretrando sul piano identitario e culturale. Non bastava la chiusura imposta – con fatica – ai luoghi di culto islamico irregolari grazie alle battaglie condotte dall’europarlamentare leghista ed ex sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint. Ora, a spalancare le porte è addirittura la Chiesa cattolica, che ha messo a disposizione i campi sportivi delle parrocchie per consentire la preghiera collettiva di circa quattromila fedeli musulmani.
La decisione, presentata come un “gesto di pace e accoglienza”, ha suscitato sconcerto e indignazione tra moltissimi cittadini, ma soprattutto ha scatenato, giustamente, la dura reazione della stessa Cisint, che ha definito l’episodio “inaccettabile”. E come darle torto? Non è questa la funzione della Chiesa, tanto meno in un territorio dove la convivenza è già messa a dura prova da una presenza islamica sempre più massiccia e organizzata.
Due i punti gravissimi denunciati. Primo, l’uso di strutture parrocchiali, che dovrebbero servire alla comunità cristiana, per un rito religioso che nulla ha a che vedere con la nostra tradizione. Secondo, la presenza di una fotografia, circolata in rete, che mostrerebbe una statua di Cristo coperta da un telo durante la preghiera islamica. Un atto simbolico che suona come una sconfitta culturale. Il parroco, don Flavio, ha dichiarato di voler verificare la vicenda, ma il solo fatto che la copertura possa essere avvenuta è già di per sé gravissimo.
Invece di riportare i fedeli nelle chiese, svuotate da anni di relativismo, si preferisce aprire le porte a cerimonie altrui, spesso con la sola presenza maschile, come avvenuto anche in questo caso. A Staranzano, il sindaco Marco Fragiacomo si è spinto addirittura a portare un saluto ufficiale, mentre i cittadini che si interrogano sul futuro del proprio territorio vengono tacciati di intolleranza.
La domanda è semplice: fino a che punto si potrà continuare a cedere? La cultura cristiana, già messa all’angolo, può permettersi di fare da tappetino a pratiche che non mostrano alcuna intenzione di integrazione vera? Oppure ci si limiterà a coprire statue, simboli e dignità, pur di non offendere?
Anna Maria Cisint ha avuto il coraggio di dirlo chiaro: “questo non è rispetto, è sottomissione mascherata da tolleranza”. E, in un Paese che sembra aver perso la bussola, qualcuno deve pur ricordare dove stanno le radici.
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