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PRIMA PAGINA – NetanyOUT, perché Bibi fa un favore ad Hamas

di Adolfo Spezzaferro -


A più di tre mesi dall’inizio della rappresaglia israeliana a Gaza a seguito dell’attacco del 7 ottobre sferrato da Hamas, il capo del governo di Tel Aviv Bibi Netanyahu si ritrova a dover fronteggiare il malcontento crescente sia interno che esterno. Il premier israeliano non fa che ripetere che si fermerà soltanto quando avrà vinto. Il problema è che la vittoria di Israele, per come la intende Netanyahu, coincide con l’eliminazione totale dei miliziani di Hamas dalla Striscia di Gaza. Il che comporterebbe purtroppo la morte di un numero impressionante di civili inermi, soprattutto donne e bambini. Il conto delle vittime civili – assolutamente sproporzionato sia rispetto alle vittime dell’attacco di Hamas in territorio israeliano che al numero di miliziani eliminati – è già altissimo: oltre 28mila morti. Ma adesso, con l’annuncio dell’assalto alla città di Rafah, la comunità internazionale e buona parte della popolazione israeliana stanno chiedendo a Netanyahu di fermarsi: “Stop genocidio” non è più solamente uno slogan.
La questione, nella sua tragicità, è semplice: se da un lato il modello democratico dello Stato ebraico è l’unico difendibile, da parte dell’Occidente, perché Israele è Occidente trapiantato in Medioriente a tutti gli effetti – visto e considerato che l’alternativa – ossia la visione di Hamas e degli integralisti islamici – è la distruzione dello Stato ebraico; dall’altro lato, è conclamato che Netanyahu abbia trasformato la rappresaglia in una strage senza precedenti. Genocidio che sta spaccando l’Occidente e che sta inevitabilmente compattando e rafforzando il mondo islamico contro Israele e i Paesi occidentali. Ecco perché l’unica soluzione possibile agli occhi di tutti è che il premier israeliano si faccia da parte. Il problema però è che Netanyahu intende portare a casa il trofeo dell’eliminazione totale di chi ha ucciso militari e civili israeliani il 7 ottobre proprio per evitare le dimissioni. E finora dalla sua parte ha avuto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Adesso però pure il capo della Casa Bianca gli sta dicendo di fermarsi. Almeno fino a che non darà garanzie che con l’operazione a Rafah non ci sarà l’ennesima strage di civili.
In questo scenario restano sullo sfondo pure i circa 130 ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Ciò che preoccupa i loro familiari non è solo che con il protrarsi del conflitto aumentino i rischi che vengano giustiziati ma anche che – come è già successo più volte – muoiano nei bombardamenti e negli attacchi israeliani. Questo dà il polso del fatto che il governo di Tel Aviv – il più a destra della storia israeliana – punti all’eliminazione di Hamas a qualsiasi costo. Alla fine di gennaio, le manifestazioni di protesta contro Netanyahu si sono moltiplicate: davanti al ministero della Difesa, al parlamento israeliano, la Knesset, e di fronte all’abitazione del premier. Le famiglie degli ostaggi, supportate dai cittadini, chiedono un accordo, a qualsiasi prezzo, perché i loro cari tornino a casa. In molti invocano le dimissioni di Netanyahu, che invece punta a una cosa sola: la sopravvivenza politica.

NetanyOUT: è meglio per tutti che il premier israeliano si faccia da parte

La situazione è critica anche sul fronte dell’alleanza Usa-Israele perché Netanyahu continua a respingere la soluzione dei due popoli e due Stati, chiesta da Washington. La destra sionista che sostiene il premier vuole la rioccupazione della Striscia. Altro che due popoli e due Stati, dunque: i palestinesi sopravvissuti verrebbero deportati. Uno scenario inaccettabile, condannato dall’Occidente. Ciò spiega la dura presa di posizione di Biden sull’invasione di Rafah: Israele non deve colpire l’ultima area sicura rimasta per i civili palestinesi. Anche perché è infinitamente complicato evacuare tutti i civili. Ecco perché dall’Ue all’Onu al Regno Unito fino all’Italia, gran parte dei Paesi occidentali (così come Brics e mondo arabo) hanno detto che “il mondo non deve permettere” che Israele attacchi Rafah. Bibi a casa, dunque. Se non ora, quando?


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