Politica

Ora la posta in gioco è più alta: la nuova casa dei riformisti

di Redazione -


di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO

 

Dare vita a un soggetto liberal-democratico significa offrire una casa ai riformisti. Per quanto sia importante saper amministrare in modo efficace, l’obiettivo non può essere la gestione dell’esistente, perché la posta in gioco è più alta e riguarda la governance sia dei processi di globalizzazione in corso sia delle profonde trasformazioni derivanti dall’applicazione delle nuove tecnologie. Per questo serve una cornice epistemologica di riferimento adatta alle sfide del presente: un pensiero liberale capace di affrontare i problemi e la complessità del nostro tempo. In questo senso scienza, informazione e deliberazione non possono essere disgiunte ma devono venir unite in una sintesi efficace.

 

I grandi problemi che affliggono il mondo contemporaneo (dall’ambiente alla fame nel mondo) non possono trovare soluzione a livello locale: la finanza ha assunto da tempo una dimensione globale ed è giunta a una concentrazione di potere che non ha equivalenti nella storia. La politica a livello sovranazionale sta muovendo timidamente i primi passi: è da questa sua debolezza che deriva la crisi della politica. Infatti, problemi di natura globale devono trovare risposte politiche di natura altrettanto globale. Bisogna offrire al nuovo soggetto politico una visione d’insieme, un’idealità a cui tendere: una filosofia cosmopolita. Oggi, paradossalmente, viviamo già in un mondo dove tutto è interconnesso: il cosmopolitismo è congiuntamente un punto di arrivo e un punto di partenza. La politica dev’essere accompagnata da idealità, ovvero da processi emotivi non semplicemente spiegabili in termini di razionalità, concretezza e progettualità. L’idealità non è un elemento astratto: se infatti non definiamo con precisione la rotta da seguire, anche la buona gestione diventa impossibile, e per questa ragione il quadro cosmopolita si rivela imprescindibile per stabilire dove vogliamo andare e quali criteri sono davvero utili per definire le scelte da compiere.

 

La vocazione cosmopolita va di pari passo con il rilancio del progetto europeo: l’Europa rappresenta la dimensione minima per affrontare le sfide globali. Un’Europa che deve essere fondata sulla condivisione dei valori (in primis quelli della democrazia liberale) e non concepita su base geografica. Ciò implica un doppio movimento: uno verso l’alto, verso gli Stati uniti d’Europa e, l’altro verso il basso, cioè verso nuove forme di radicamento a livello locale, capaci di promuovere un rilancio del territorio in termini di opportunità (per le imprese), di sostenibilità (per l’ambiente) e di nuova progettazione in ambito tecnologico-digitale (in termini di innovazione).

 

La cultura federalista va applicata anche alla forma partito, in modo da non intrecciare il destino del nuovo soggetto a quello dei leader nazionali. La prospettiva federalista, che nella sua interpretazione politicamente più esplicita si contrappone all’ideologia della nazione, creatrice dei nazionalismi, serve a bilanciare una globalizzazione che rende i cittadini “spettatori impotenti” di quanto accade nel mondo (quel famoso 1% contro il restante 99%). L’impotenza comporta l’allontanamento delle persone dalla politica o la loro adesione alle false narrazioni proprie dei partiti populisti; il vero riformismo, invece, consiste nel trovare la giusta scala di riferimento e il giusto equilibrio tra esigenze globali e tutela degli interessi territoriali.

 

Il punto focale delle politiche locali riguarda la loro progressiva e crescente, per quanto relativa, indipendenza rispetto ai fabbisogni energetici, economici e tecnologici. Una prospettiva autenticamente federalista non va in alcun modo assimilata alla “secessione dei ricchi”, in chiave anche simbolico-identitaria, proposta da alcune delle forze che compongono l’attuale maggioranza. Va invece inquadrata nell’orizzonte dell’uguaglianza dei diritti, ovvero nel movimento nato per contrastare, e non per acuire, le linee di divisione che attraversano il nostro Paese. La prospettiva di un riformismo rinnovato e all’altezza dei tempi si muove nel solco di un pensiero laico, dal momento che lo spazio pubblico in cui viviamo è caratterizzato dall’esistenza di orientamenti di valore in cui si rispecchiano immagini del mondo di volta in volta diverse.
Siamo per un riformismo ispirato a una forma di liberalismo inclusivo capace di ridurre le disuguaglianze: liberalismo significa, infatti, giustizia sociale. Vuol dire saper promuovere una visione politica prima ancora che economica, tant’è vero che esistono Stati liberisti che sono, al contempo, antiliberali. Per il filone inclusivo del liberalismo il fine non è l’economia, ma sono i diritti dell’uomo, che includono anche i diritti sociali. È qui che la politica deve trovare il giusto equilibrio con l’economia in nome di un ampliamento e non di una riduzione dei diritti, che liberalismo e socialismo si incontrano e che diventa possibile riprendere e dare nuova linfa alle due grandi eredità del ’900: lo Stato di diritto e lo Stato sociale, intesi come conquiste di civiltà e non come macchine da rottamare. Quindi le alleanze europee di ordine economico devono essere condotte in nome di valori condivisi sulla base del diritto. Per questa forza politica riformatrice – o meglio per questa casa dei riformatori – la questione delle alleanze è subordinata alla definizione del quadro politico-culturale d’insieme. Una volta fissata e condivisa la visione, spetterà ai singoli rappresentanti del territorio decidere con chi allearsi anche, ed eventualmente, in modo difforme dalle contingenti alleanze sul piano nazionale.

Verrà il giorno – scriveva Carlo Rosselli – in cui la parola liberale sarà rivendicata con “orgogliosa consapevolezza” dal socialismo. Oggi è arrivato il momento in cui anche la tradizione liberale può rivendicare con “orgogliosa consapevolezza” la parola socialismo, e ciò proprio nella sua declinazione liberale, sapendo accogliere le tradizioni riformiste da sinistra e da destra in modo da smarcarsi dai conservatori di sinistra e di destra.

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