Economia

Ottimisti per forza

di Cristiana Flaminio -


Ottimismo obbligatorio. Anche perché, in fondo, peggio di così c’è solo da scavare. Una ricerca effettuata dalla società di consulenza Arthur D. Little su scala planetaria svela che i Ceo delle aziende più importanti al mondo “hanno una visione ottimistica” e “vedono le opportunità che derivano dalle turbolenze”. Al di là delle facili battute, e cioè che è facile, facilissimo, intravedere cose buone seduti su una poltrona dirigenziale, emergono dallo studio elementi che lasciano intendere come i manager si orienteranno e verso quali obiettivi e con quali strategie.
I più ottimisti sono gli amministratori delegati delle società energetiche che, in questi mesi, sguazzano – letteralmente – tra gli extraprofitti. Secondo l’80 per cento degli intervistati la situazione economica mondiale andrà a migliorare nel periodo compreso tra i prossimi tre o cinque anni. Comunque, nessuno di loro intravede peggioramenti significativi all’orizzonte. Anche perché, peggio di così, è dura. Poco meno di un quarto dei Ceo di imprese della manifattura sperano nella crescita così da attrarre, trattenere e motivare i migliori talenti che hanno o possono avere tra le loro fila. Lo spettro della Great Resignation, delle dimissioni di massa e della liquidità che ha precarizzato il lavoro, una volta tanto, anche dalla parte del datore, è vivo specialmente nei settori dove la qualità del lavoro individuale è fondamentale per il prodotto. Secondo banche e istituti finanziari, invece, a guidare la crescita saranno le aspettative degli investitori e, soprattutto, le indicazioni che arriveranno dai Cda. Il 51% dei manager ne è assolutamente convinto. I padroni, in fondo, restano sempre i padroni. E poiché il loro parere è (quasi) insondabile persino a loro, i dirigenti si dividono tra chi (il 29%) aumenterà gli investimenti per crescere e chi (il 10%), invece addirittura li ridurrà. Seguendo l’esempio che è arrivato da alcuni giganti del settore come Credit Suisse, Goldman Sachs e Morgan Stanley. Che, più discretamente rispetto alle major digitali ma con altrettanta potenza, hanno proceduto a sfrondare il proprio personale. Se società di servizi finanziari e company energetiche sono assolutamente ottimiste, gli industriali invece hanno poco da veder rosa. Difatti, il 59% dei ultimi capitani d’industria rimasti ritiene probabile un’ulteriore calo dell’economia globale. C’è poco da stare allegri, insomma. Ma c’è, soprattutto, da capirli, gli industriali. Si sono ritrovati a fare i conti con gli aumenti spropositati del costo delle materie prime, energia su tutte, che è stato motivato nell’escalation delle tensioni geopolitiche sfociate nella guerra tra Russia e Ucraina, nel braccio di ferro tra Usa e Cina sul Pacifico. È normale che, in queste settimane in cui il clima sembra farsi ancora più rovente tra gli attori in campo, gli industriali inizino a temere nuovi contraccolpi e credano, più che una possibilità, una chimera l’ipotesi stessa di un ritorno della crescita. Ma l’ottimismo, appunto, deve essere obbligatorio. I risultati della ricerca, che sottolinea il vecchio refrain della “crisi che vuol dire opportunità”, rispecchiano – oltre all’entusiasmo di chi, tra banche e società energetiche, ha fatto grandi affari grazie alla crisi – i dubbi e le perplessità del sistema produttivo occidentale. Nonostante l’obbligatorietà dell’ottimismo.

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