Cronaca

Pier Paolo Pasolini: un caso mai chiuso? L’idealista scomodo nella rete delle morti eccellenti

di Michel Emi Maritato -

Pier Paolo Pasolini


A quasi cinquant’anni dalla notte del 2 novembre 1975, l’omicidio di Pier Paolo Pasolini continua a rappresentare una delle più inquietanti e irrisolte pagine della cronaca italiana.

Poeta, regista, polemista, visionario e soprattutto coscienza critica di un’Italia che non voleva essere guardata troppo da vicino, Pasolini è stato assassinato all’Idroscalo di Ostia con una violenza tale da superare l’atto criminoso per assurgere a gesto simbolico. Ma simbolo di cosa? Di chi?

La versione ufficiale — l’omicidio a sfondo sessuale da parte di un giovane prostituto, Pino Pelosi, detto “la Rana” — non ha mai convinto appieno storici, magistrati e intellettuali. E non a caso: Pelosi stesso, nel 2005, ritrattò la confessione, sostenendo di aver coperto i veri assassini, uomini adulti “ben vestiti”, probabilmente mandanti o esecutori di un crimine politico.

Nelle sue ultime interviste e nei suoi scritti — “Lettere Luterane”, “Scritti corsari”, ma anche il romanzo incompiuto “Petrolio” — Pasolini denuncia senza veli la trasformazione antropologica degli italiani, la connivenza fra potere economico e criminalità, e il ruolo oscuro dello Stato nell’Italia post-boom.

Nel famoso articolo Io so”, pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, scrive:
Io so i nomi dei responsabili della strategia della tensione, so i nomi dei colonnelli… so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai misteriosi delitti…
Parole che suonano come un testamento e una condanna. Un’intelligenza che si spingeva troppo oltre, forse. Una voce che dava fastidio in alto. Un filo rosso che porta ad Aldo Moro?

Nel 1978, tre anni dopo, veniva sequestrato e assassinato Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. Anch’egli figura di rottura, uomo di compromesso e dialogo, stava tentando un’inedita apertura ai comunisti nel governo italiano. Una mossa invisa a molteplici interessi: interni, esteri, ecclesiastici.
Ma cosa unisce Pasolini a Moro?

Entrambi erano idealisti lucidi, eccessivamente indipendenti, entrambi denunciavano, in modi diversi, la degenerazione del potere ed, ancora entrambi, stavano per rivelare verità scomode: Pasolini su Eni e servizi segreti nel suo “Petrolio”; Moro sul patto Stato-Brigate Rosse in alcune lettere dalla prigionia.In un’Italia crocevia della Guerra Fredda, il ruolo dei servizi segreti — italiani e internazionali — era centrale.

Il delitto Pasolini potrebbe, secondo alcune interpretazioni, rientrare nella stessa logica di depistaggio e soppressione selettiva che colpì anche Mattei, De Mauro, Pecorelli, e poi Moro. Il legame con interessi petroliferi e finanziari in “Petrolio”, dove Pasolini parla del “mostro economico” italiano, non è casuale: si ipotizzava una rete di corruzione tra servizi deviati e politica, simile a quella che avrebbe travolto Mattei negli anni ’60 e anticipato Mani Pulite.

Oggi, nonostante le riaperture di fascicoli, le richieste della famiglia e di alcuni magistrati, il caso non è mai stato riaperto formalmente come delitto politico. Eppure le domande restano: Chi ha voluto davvero la morte di Pasolini? Era solo un poeta scomodo, o qualcosa di più?I suoi ultimi appunti su “Petrolio” sono stati rubati, manipolati, distrutti?

Pasolini, come Moro, è diventato un simbolo tragico della verità negata. Uomini che, nella loro diversità, cercarono di smascherare il potere senza strumenti di difesa, senza protezioni. E per questo, forse, sono stati eliminati. L’Italia democratica non ha mai voluto veramente sapere, e forse non vuole ancora. Ma Pasolini ce lo aveva detto:“ Il potere è criminale, e chi lo denuncia è sempre colpevole.” Un caso mai chiuso. Una verità che ancora aspetta giustizia.


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