Esteri

Polveriera globale: l’Africa dei golpe che guarda Mosca e Pechino

di Ernesto Ferrante -


L’Africa dei golpe che guarda a Mosca e Pechino e sta cacciando via l’Europa
Il ruolo del Gruppo Wagner nella lotta contro il terrorismo dei gruppi jihadisti

La giunta militare del Niger ha rilasciato un diplomatico francese detenuto da quasi una settimana. Il ministero degli Esteri transalpino ha espresso “soddisfazione per la liberazione di Stéphane Jullien, consigliere dei francesi residenti all’estero, avvenuta il 13 settembre 2023 in Niger”. Le relazioni tra i due Paesi sono ai minimi termini. Nonostante il ritiro delle truppe, l’Eliseo continua ancora a minacciare interventi militari, avvalendosi del supporto territoriale di quelle realtà come il Benin, che ancora le sono fedeli. Il suo presidente, Patrice Talon, come il senegalese Macky Sall e l’ivoriano Alassane Ouattara, è tra i pochi filo-francesi di stretta osservanza superstiti. Le truppe nigerine, fiutando il pericolo, sono affluite al confine, così da bloccare ogni ipotesi di incursione. In un colloquio col suo omologo maliano Assimi Goita, Vladimir Putin ha annunciato che la Russia è pronta a scongiurare eventuali prove di forza a firma francese dalla costa meridionale.
Emmanuel Macron è in affanno e i suoi indici di gradimento sono in calo da mesi. Un sussulto neocoloniale tra Golfo di Guinea e Sahel implicherebbe l’apertura di un nuovo fronte che la Francia al pari dei suoi alleati non potrebbe reggere, anche per le prevedibili fibrillazioni delle nutrite comunità arabe ed africane che si sono stabilmente insediate in tante parti del suo territorio interno. Un tempo il conflitto era tra centro e periferia, ovvero tra metropoli e colonia.

Oggi che certi “confini” si sono assottigliati così tanto da diventare quasi inesistenti, le ostilità non avrebbero come teatro il Niger, ma la stessa Francia.
Il golpe è stato il settimo episodio di questo tipo verificatosi nell’Africa occidentale e centrale dal 2020, a dimostrazione non solo della prolungata fase di instabilità della regione, ma anche della crescente insofferenza verso l’Occidente.
“Il Niger, ex colonia francese senza sbocco sul mare, è un alleato fondamentale per le potenze occidentali che cercano di aiutare a combattere i gruppi armati ed è anche un partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro la migrazione irregolare dall’Africa sub-sahariana”, si legge in pezzo pubblicato recentemente sul portale di Al Jazeera.
Le preoccupazioni dei leader europei non sono certo dovute a questioni ideali o di principio, ma piuttosto al traballare dei propri interessi strategici diretti. “Gli Stati Uniti hanno due basi di droni in Niger. Hanno anche circa 800 soldati, alcuni dei quali sono ritenuti forze speciali che hanno addestrato l’esercito nigeriano”, ha ricordato Mike Hanna, collaboratore della rete satellitare qatariota.
Mohamed Bazoum era l’ultimo alleato degli Stati Uniti rimasto in piedi in quella particolare area del mondo. I governi dei vicini Mali e Burkina Faso sono stati rovesciati da colpi di stato militari. I nuovi detentori del potere hanno espulso i soldati francesi che erano lì e si sono rivolti ai russi per ottenere protezione. Intensa è anche la tessitura dei rapporti, prevalentemente economici, da parte di Pechino.

Successivamente è stato il turno del Gabon, con un’insurrezione armata che secondo alcuni analisti sarebbe dovuta unicamente alle faide interne. Il leader dei golpisti Brice Oligui Nguema è il cugino del presidente destituito, Ali Bongo Ondimba, ed ha occupato ruoli di rilievo nei precedenti governi. I suoi suoi buoni rapporti sia con i francesi che con gli statunitensi potrebbero essere alla base della narrazione ovattata dei fatti di Libreville.
Il generale Oligui ha promesso di riorganizzare le istituzioni governative per renderle “più democratiche e più in linea con gli standard internazionali in termini di rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della democrazia e dello Stato di diritto, nonché di lotta alla corruzione, divenuta un luogo comune nel nostro Paese”.
Le cancellerie europee seguono con attenzione anche gli sviluppi del referendum costituzionale che ha avuto luogo il 30 agosto nella Repubblica Centrafricana. Promosso dal presidente Faustin-Archange Touadéra e dal suo partito, il “Movimento Cuori Uniti”, e passato in maniera quasi plebiscitaria, prevede l’estensione della durata dell’incarico presidenziale da cinque a sette anni, la soppressione del limite al numero dei mandati e l’esclusione dei cittadini con doppia nazionalità della corsa più ambita. Quest’ultima misura, secondo l’opposizione, servirebbe ad escludere dalla corsa elettorale delle presidenziali 2025 Anicet Georges Dologuélé, attualmente in esilio in Francia, dove ha ottenuto anche la cittadinanza. Al comando dal 2016, Touadéra si è progressivamente staccato dai francesi per avvicinarsi ai russi. Il governo di Bangui non ha mai fatto mistero di essersi affidato ai servizi del Gruppo Wagner per la propria sicurezza nazionale, chiedendone anche l’intervento per “garantire” il regolare svolgimento delle operazioni referendarie.


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