Attualità

Premierato, “Democratura”: a raffica la bocciatura dell’opposizione

di Angelo Vitale -


Inventa al volo un neologismo, Carlo Calenda, per attaccare il disegno di legge sul premierato. Sono passati pochissimi minuti dall’annuncio del passaggio in CdM e già l’opposizione al governo Meloni inonda le agenzie di reazioni evidentemente “in pancia” fin dalle indiscrezioni dei giorni scorsi sulla riforma. “Il governo ha approvato una riforma che potremmo chiamare l’Italierato – afferma il leader di Azione -. Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è un Premierato, non è Presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo. Il Parlamento non funziona, il federalismo non funziona, la Pubblica amministrazione non funziona. Meloni ha trovato la soluzione: occuparsi d’altro. Il che rappresenta bene la storia di questo governo”.
Si fa vivo subito, di lì a poco, l’ex presidente della Camera Roberto Fico: “Il premierato meloniano è una riforma pasticciata e approssimativa. Una scelta che non favorirà la governabilità ma accentuerà gli squilibri del sistema”, scrive su X l’esponente dei 5Stelle.

La Cgil, invece, impasta alle sue argomentazioni contro il disegno di legge un termine coniato dallo scrittore latinoamericano Eduardo Galeano, spesso utilizzato negli attacchi al regime oligarchico russo e al quale rimase impigliato, otto anni fa, anche Matteo Renzi durante la sua stagione a Palazzo Chigi. Per il sindacato, la riforma sovverte la Costituzione: “Il premierato rappresenta il tentativo di superare definitivamente la Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. Un vero e proprio sovvertimento della Costituzione che prefigura una dittatura della maggioranza che ci farebbe assomigliare più a una democratura che a una democrazia matura”. Così, il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, che aggiunge: “Un modello istituzionale che non ha riscontri in nessun altro Paese democratico: con un premier legittimato plebiscitariamente che indebolirebbe prerogative e ruolo di garanzia del presidente della Repubblica e marginalizzerebbe, ancor di più di quanto già accada, il Parlamento, ridotto a mero organo di ratifica delle decisioni del Governo”.

Per Ferrari una scelta che in accoppiata “con l’autonomia differenziata, su cui la presidente Meloni ha dato ampie rassicurazioni di rapida approvazione alla sua maggioranza, mira a stravolgere i connotati della nostra Repubblica, tradendo i principi di unità e solidarietà costituzionali e creando un’Italia frammentata in tante “piccole patrie” e tenuta insieme, artificialmente, da un uomo o una donna soli al comando”. Annuncia battaglia “con tutti gli strumenti democratici”, la Cgil, contro “la democrazia decidente decantata dalla presidente del Consiglio: compressione del principio di rappresentanza, svuotamento di tutte le sedi di mediazione istituzionale, politica e sociale, verticalizzazione del potere, con gli elettori chiamati a firmare una cambiale in bianco ogni cinque anni e non a costruire dal basso una democrazia davvero partecipata”.

Rievoca la tradizionale accusa di “armi di distrazione di massa” accompagnando il suo fraseggio alla “democratura” il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova: “Meloni ha sobriamente sostenuto che la sua riforma costituzionale sia ‘”la madre di tutte le riforme”. Non so se sia un spot a fini elettorali e per distrarre da una brutta e sbagliata legge di bilancio, o se davvero Meloni pensi di arrivare in fondo (e presumibilmente scommettere sul referendum). Sta di fatto che la sua è una riforma populista promossa da una leader populista. Un meccanismo ibrido e rigido ideato per garantire per perseguire il mito della governabilità, che punta in realtà a neutralizzare il Parlamento e a depotenziare pesantemente il presidente della Repubblica, lasciando che in Italia il gioco istituzionale si fondi sul rapporto diretto tra leader e popolo. Non una idea originale: è il percorso che porta alla democratura (democrazia illiberale, direbbe Orban), dove i leader populisti, partendo dal risultato elettorale, promuovono il superamento della democrazia di stampo liberale e dello stato di diritto e dove il Parlamento diventa via via un ornamento”.

“Ho sostenuto i due ultimi tentativi di riforma costituzionale, quello del centrodestra firmato da Calderoli e da ultimo quello di Renzi – intende pure precisare Della Vedova -, sicuramente perfettibili ma orientati al necessario miglioramento della nostra democrazia parlamentare. Penso invece che questo accrocchio ideato da Meloni sia dannoso e pericoloso per la nostra democrazia”.

Scende in molti dettagli della riforma il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Soriano Ceccanti: “Un testo distante dalle proposte sin qui immaginate, basate sull’indicazione (non un’elezione diretta) di un primo ministro abbinata a un sistema prevalentemente maggioritario e su poteri analoghi a quelli del Cancelliere tedesco. Qui non vi sono questi poteri: la fiducia resta bicamerale (e l’elezione delle due Camere messa sulla stessa scheda) e per revocare i ministri bisogna ancora passare per la sfiducia individuale. Lo scioglimento in realtà finisce per slittare sull’eventuale secondo Premier della legislatura perché quello non è sostituibile”. “L’idea di fondo – aggiunge – sembra quella di affidare tutto al trascinamento di fatto dell’elezione diretta che porterebbe a prendere dei poteri non formalmente riconosciuti: un approccio divaricante rispetto al costituzionalismo liberaldemocratico”.

“Ma il testo – spiega – non è neanche affatto corrispondente allo schema semplice di premierato elettivo previsto per i Comuni, il cosiddetto sindaco d’Italia, basato sul simul stabunt simul cadent tra premier e assemblea: qui al premier eletto non basta l’elezione ma deve poi riprendere la fiducia con l’intero governo. E può essere sostituito da qualcuno che è stato eletto dentro la stessa maggioranza. Tranne che per il richiamo etereo alla continuità di programma, il secondo premier può in realtà costruirsi una maggioranza come vuole”.

“In questo modo – osserva Ceccanti -si fotografa e si incentiva la conflittualità tra i leader dei partiti della maggioranza. Il secondo premier è più forte del primo perché solo la sua caduta porterebbe al voto anticipato, non quella dell’eletto direttamente. Il progetto dovrebbe quindi essere rifiutato, a logica, anche dai sostenitori del sindaco d’Italia. Del tutto anomala – prosegue anche la configurazione rispetto alle elezioni dirette conosciute nelle grandi democrazie europee, quelle dei Capi di Stato, che richiedono sempre la maggioranza assoluta con eventuale ballottaggio a due. In questo caso il quorum esigente sarebbe ancor più doveroso, perché all’elezione diretta di un Premier è agganciata una maggioranza garantita in seggi del 55 per cento”. Una norma definita “impensabile, così precisa nell’assegnare i seggi e che nel contempo lascia alla legge ordinaria l’eventuale quorum e il numero dei turni con cui eleggere il Premier e assegnare la maggioranza”.

“Anomala rispetto alle elezioni dirette europee (anche a quelle italiane) – conclude Ceccanti nella sua analisi del premierato targato Meloni – è poi l’assenza del tetto ai mandati: la concentrazione del potere ha bisogno di essere limitata nel tempo. Un’occasione che astrattamente avrebbe potuto essere utilizzata in modo consensuale, se avesse attinto a proposte e a regolarità già note, deve al momento ritenersi incamminata su un binario del tutto sbagliato”.


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