Attualità

PRIMA PAGINA – Prof umiliati tra violenze e stipendi da fame

di Rita Cavallaro -


Insegnanti accoltellati, impallinati, aggrediti e umiliati da genitori che, in quanto a educazione, non sono migliori della loro prole violenta. E al danno, che nella stragrande maggioranza dei casi viaggia di pari passo con l’impunità dei piccoli bulli, si aggiunge la beffa. C’è un complice occulto nell’indegna pratica di esautorare le figure cui è affidata la formazione socioculturale dei futuri cittadini del nostro Paese. Ed è proprio lo Stato, il primo a sminuire il ruolo degli educatori privandoli del rispetto dovuto con gli stipendi da fame che riserva loro.

Non stupisce, dunque, quanto l’individuo che ogni giorno parla in classe di Aristotele, agli occhi di boomer affascinati dal successo degli influencer e a quelli dei loro figli cresciuti nel mito dei trapper con la pistola sia un povero sfigato. Un perdente, nell’immagine e nello spirito, che delle profonde conoscenze, nella vita vera, non se ne fa nulla. Quel professore diventa il simulacro dei nuovi poveri, fuori dal tempo dei social e pure dalla stessa società, che lo ha relegato a finire sul fondo della scala sociale con quel mestiere fuori moda. Si è infatti installata l’errata convinzione che studiare non sia necessario, perché tanto con qualche sfida idiota su TikTok migliaia di follower grazie ai quali fare soldi si racimolano rapidamente.

E allora chi se ne frega delle nozioni del povero sfigato alla lavagna, che a quel punto diventa un nessuno qualsiasi e che, come tale, non ha più alcuna autorità, pertanto non si deve permettere di affibbiare voti bassi o note di condotta. Le lezioni, insomma, non può farle a nessuno. Anzi, diventa egli stesso vittima di una lezione, messa a segno dagli sgherri per vendicare gli sgarri. Una punizione da infliggere con un bel coltello, come è accaduto ieri mattina a una povera professoressa di Verona di 57 anni, pugnalata alla schiena da un 17enne di un istituto professionale.

“Lo studente è un soggetto a diagnosi funzionale”, si è affrettata a far sapere la scuola, relegando quel gesto a problemi psichici e, di fatto, continuando a vestire un ruolo da perdenti in quello che, ogni giorno di più, sembra lo scacchiere di una guerra anziché la palestra per le menti. Perché l’aggressione di ieri non è un caso isolato, ma la normalità della pubblica istruzione italiana. Dove mentre l’insegnante spiega c’è chi spara pallini di gomma con una pistola ad aria compressa. E a rendere peggiore la “bravata” dei fantastici cinque di Rovigo, c’è che solo uno dei genitori si è sentito in dovere di presentarsi dalla docente di Scienze, Maria Luisa Finatti, per scusarsi del comportamento delinquenziale del figlio. Gli altri quattro non pervenuti. Addirittura tre del gruppo sono stati promossi.

Che tanto che sarà mai il ferimento alla testa di un insegnante colpita con proiettili di gomma, non è mica morta. Di fronte a questo andazzo, chissà quanti dei professori picchiati dalle famiglie dei loro studenti, solamente per aver messo un brutto voto o aver fatto un richiamo ai meno meritevoli, avranno pensato che il gioco non vale più la candela, che se avessero voluto rischiare la vita per un misero salario avrebbero scelto la carriera militare. Purtroppo non era prevedibile una deriva così profonda nell’abisso valoriale, in quanto la vecchia guardia veniva da un’altra scuola, quella dei maestri che menavano con il righello sulle mani gli alunni, che poi a casa prendevano il resto.

Pratiche che via via sono state, fortunatamente, abbandonate, in favore di una visione montessoriana dell’importanza dell’autoeducazione, dell’indipendenza e della libertà del bambino, che ha funzionato fino alla diffusione a macchia d’olio dei social, quando ancora i genitori non avevano abdicato alla loro funzione primaria e non avevano lasciato agli influencer la formazione dei propri figli. E ora, forse, è già troppo tardi per invertire la rotta tracciata da un Paese che, così facendo, sta perdendo il futuro, visto che la civiltà di una nazione è legata al suo livello di istruzione. Allora, caro ministro Valditara, inutile parlare di merito, che è un livello più elevato e qui mancano le basi. Di questo passo, creda, non ci salverà certo il liceo del Made in Italy, perché le nuove generazioni, con questa scuola, stanno perdendo il senso dello Stato e dell’autorità.


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