Quorum mancato, anche questa è democrazia
Quorum non raggiunto e, dunque, referendum non valido. Un risultato già scritto, probabilmente anche per gli stessi promotori e sostenitori dei quesiti e della consultazione popolare, ai quali va dato atto almeno di essersi spesi fino alla fine nel rincorrere un successo che si annunciava come irraggiungibile. Come spesso accade, però, il punto non è il sé, ma il come. A urne chiuse e con un’affluenza che si è assestata attorno appena al 30.5%, c’è una domanda che sorge spontanea. Perché invece che sui contenuti, quindi sul merito dei quesiti, l’intera campagna referendaria ha visto centrale la contestazione della scelta legittima di chi ha optato per l’astensione e ha invitato i propri elettori a non recarsi alle urne? È chiaro che la scelta di spostare l’attenzione dai singoli quesiti per un ben più ampio test, ovvero un sì o un no sul governo, non abbia pagato. E mai avrebbe potuto essere diversamente, innanzitutto perché i singoli partiti di opposizione non avevano la medesima linea su tutti i quesiti – il Pd ha fatto registrare addirittura delle differenze al proprio interno -, in secondo luogo perché lo stesso fronte sindacale era tutt’altro che unito e, infine, perché non basta avere l’unico collante dell’essere contro l’avversario politico per risultare vincenti. A qualcuno a sinistra lo ha capito e se l’area terzopolista ha tentato timidamente di farlo presente prima del voto, una volta falliti i referendum e mancato il quorum lo ha detto a chiare lettere. Il presupposto necessario per essere vincenti è quello di un’unità concreta, negli intenti, nel programma nella visione di Paese.
Il paradosso è che, a guardare i commenti a caldo, la lezione non sembra essere stata compresa e c’è chi, invece di far tesoro del risultato, benché deludente, continua a prendersela con il quorum, proponendo di abrogarlo. Una posizione decisamente stravagante, sia perché proviene da chi protesta contro ipotesi di modifica della Costituzione, a quanto pare immutabile solo a proprio piacimento, sia perché, come dimostra la scarsa partecipazione al voto di domenica e lunedì, eliminare il quorum equivarrebbe a conferire a una minoranza di elettori la facoltà di abrogare delle norme approvate da una qualsiasi maggioranza parlamentare. Surreale. E tanto più lo è sostenere che il quorum rappresenterebbe un problema per la democrazia. È chiaro che a incarnare questo pericolo è chi propone la sua abolizione e non certo l’istituto stesso. Prendiamo come esempio il quesito sulla cittadinanza, per il quale si sono espressi a favore circa il 65% dei votanti che, come detto, sono stati poco più del 30% degli aventi diritto. Può il 20% degli elettori decidere per un intero Paese, oltretutto modificando una legge in vigore? Comunque la si pensi nel merito, la risposta è no. Anche questa è democrazia.
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