Politica

Renzi rompe il silenzio: il meglio deve ancora venire. Calenda si azzuffa con il Pd

di Adolfo Spezzaferro -

MATTEO RENZI POLITICO ©imagoeconomica


L’effetto soufflé sgonfiato delle Regionali per il Terzo polo è ancora più evidente se guardiamo a come Matteo Renzi rompe il suo aureo silenzio. “Il meglio deve ancora venire”, commenta l’ex premier (anche perché il peggio è già venuto, con queste elezioni). Mentre Carlo Calenda sparla in tv e sui social, il leader di Italia Viva invita a non avere incertezze sul progetto Terzo polo. A ben vedere però, il Terzo polo che di terzo non ha nulla, se si considera la debacle elettorale in Lazio e Lombardia, è già finito. La misera prova nelle due regioni dove almeno sulla carta si pensava potesse andare bene è la cartina al tornasole dell’appeal che questa recente creatura politica esercita sull’elettorato. La doppia cantonata è stata presa sulla base di due valutazioni che si sono rivelate tragicamente errate: la popolarità di Letizia Moratti in Lombardia e la popolarità di Carlo Calenda nel Lazio. Se la prima, che si è fermata sotto la soglia del dieci per cento, non ha sfondato anche alla luce di un cambio di casacca che non è andato giù al suo potenziale elettorato, il secondo è andato a sbattere contro l’illusione che il Terzo polo potesse ereditare i voti che aveva preso con la sua lista alle comunali. Quelli, avrebbe detto Andreotti, erano “voti in libera uscita”. Voti di elettori di centrodestra delusi dalla candidatura di Michetti. Voti che stavolta sono andati in massa a FdI.

Il risultato è chiaro, inequivocabile in virtù di quanto abbiamo detto: in Lombardia la Moratti (come non manca di sottolineare Vittorio Sgarbi: “Ha fatto una sola cosa buona: prendere più voti di Renzi e Calenda”) con la sua lista ha preso più del Terzo polo (5,3 per cento contro il 4,2); nel Lazio il Terzo polo, alleato del Pd, si è fermato al 4,8 per cento (ben lungi dal 20 per cento della lista di Calenda alle comunali di Roma). Tanti i fattori che hanno inciso negativamente sul flop: l’essere andati da soli in Lombardia e con il Pd nel Lazio, una scelta che ha generato confusione, se non delusione; l’aver assecondato la Moratti (che non si è neanche candidata al Consiglio regionale) nel suo strappo con il centrodestra, togliendo di fatto voti al centrosinistra. Alle politiche il Terzo polo ha fatto una campagna elettorale più contro il Pd che pro qualcosa. Poi la decisione di correre con i dem nel Lazio. Sono mosse che non sempre pagano e che spesso si pagano, in termini di voti.

E all’indomani della sconfitta il Terzo polo ha rispolverato l’atteggiamento passivo-aggressivo di sempre. Al netto degli insulti di Calenda per gli elettori che non hanno votato per il suo partito – “Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione. Altrimenti non saremmo messi così” – siamo di nuovo allo scambio di accuse con il Pd. Il problema dei maggiorenti dem, dice Calenda, è che “spiegano le sconfitte dando le colpe a qualcun altro”. Sullo sfondo, tra i desiderata, resta quel partito unico che non si capisce bene chi dovrebbe raggruppare. Elena Bonetti di Iv non ha dubbi: “La costruzione di un partito unico del centro riformista, liberale e popolare va fatta adesso. Adesso, non domani”. “La costruzione di un partito unico del centro riformista, liberale e popolare diventa ancora più urgente”, scrive Calenda sul suo amato Twitter e respinge le accuse del Pd che indicano l’accordo con la Moratti come la causa della sconfitta in Lombardia. “La scelta degli elettori è stata chiara e inequivocabile: vince la destra ovunque. Il centro e la sinistra non sono mai stati in partita, neanche uniti, neanche nell’ipotetico formato del campo largo”, taglia corto l’ex ministro dem. Lettura condivisa dal renziano Ettore Rosato: “Anche se avessimo il cosiddetto ’campo largo’, che per me equivale all’ammucchiata, non sarebbe cambiato nulla. Anzi avremmo perso anche di più”.

Il leader di Azione poi se la prende pure con Stefano Bonaccini, secondo cui se il Terzo polo continuerà ad andare da solo sarà “Il migliore alleato” della destra di Giorgia Meloni. “Una certezza nella vita: il Pd non perde mai. E se perde è sempre colpa di qualcun altro. Caro Stefano Bonaccini avete e abbiamo perso perché siamo minoranza in un paese che non vota. Occorre andare comune per comune a riprendere i voti. Politicismi e alchimie non funzionano”. Poi la replica al segretario Pd Enrico Letta, che ha difeso il risultato: “ Dobbiamo recuperare il consenso, rispettivamente liberal democratico e social democratico. Fine. Il resto è fuffa e piagnisteo”, chiosa Calenda.

A quando il prossimo scontro con il Pd? Dopo le prossime Regionali, ovvio.

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