La legge è chiara, le polemiche no: riforma della giustizia tra miti e realtà
La separazione delle carriere non crea super-Pm né minaccia la Costituzione. Bobbio chiarisce ruolo e limiti dei magistrati nella riforma della giustizia italiana.
La riforma inevitabile
La giustizia sarebbe davvero semplice, se a spiegarla e ad applicarla fossero persone competenti, capaci di guardare alla Costituzione senza la lente deformante delle corporazioni.
E invece, ogni volta che si tenta di affrontare il tema, si ripete la stessa liturgia di allarmi: la Sinistra che difende l’immobilismo per abitudine, la magistratura associata che brandisce apocalissi istituzionali, una parte del dibattito che confonde autonomia con autoreferenzialità.
Eppure, la riforma è inevitabile.
La separazione delle carriere e il sorteggio non generano subordinazione dei Pubblici Ministeri e non scalfiscono la Costituzione: la rafforzano. Restituiscono linearità a un sistema che da troppo tempo vive di ambiguità, sovrapposizioni e ruoli elastici.
Non stupisce, allora, che l’Associazione nazionale magistrati si permetta di affermare che, con la separazione delle carriere,
“il Pm diventerà un super poliziotto che non farà più indagini a favore dell’indagato”.
Una tesi allarmistica che ignora, o finge di ignorare, ciò che la legge recita in modo inequivocabile.
Perché la norma non cambia. Rimane in vigore. Rimane vincolante. Ed è impossibile fraintenderla.
Art. 358 c.p.p., vigente dal 24 ottobre 1989:
“Il Pubblico Ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini.”
Le parole di Bobbio sulla riforma della giustizia
Luigi Bobbio, magistrato e già senatore della Repubblica, chiarisce senza esitazioni il punto centrale:
“E la Associazione nazionale magistrati si permette di affermare che, con la separazione delle carriere, il Pm diventerà un super poliziotto che non farà più indagini a favore dell’indagato! L’ennesima menzogna! La norma resta in vigore e il Pm continua a essere soggetto alla legge e obbligato alla sua applicazione!”
Ma Bobbio non si limita a questo. Denuncia la tentazione politica di trasformare la magistratura in co-legislatore, ricordando il principio essenziale della democrazia:
“Registro che ancora troppi avvocati e troppi politici si ostinano a parlare di riforme del processo penale da fare in collaborazione o d’intesa con la magistratura. Possibile che continui a sfuggire la necessità, vitale e ineludibile per la democrazia, che le riforme degli strumenti processuali si devono fare per i magistrati e giammai più con i magistrati? Ostinarsi con questa spuria e innaturale collaborazione significa legittimare e consentire la malata funzione politica della magistratura. Significa permettere la perpetuazione incostituzionale di un ruolo politico della corporazione.
Le leggi devono tornare a farle il Parlamento e il governo in assoluta autonomia da una magistratura che deve tornare a essere un semplice destinatario di norme che sarà obbligata ad attuare conformandosi strettamente e coattivamente alla loro lettera e alla loro ratio, senza stravolgerle con interpretazioni creative se non addirittura abrogative.
Deve, insomma, continuare l’opera di normalizzazione della magistratura, non nel senso di metterla sotto padrone ma nel senso di riportarla pienamente nel solco costituzionale.”
Ritorno all’ordine costituzionale
La separazione delle carriere non è un complotto, né una creazione di super-Pm: applica semplicemente la legge.
E la legge, per chi ama drammatizzare, ha il brutto vizio di restare ferma sulle proprie parole, indipendente da proclami corporativi o interpretazioni fantasiose.
Rimettere ogni funzione al proprio posto non è rivoluzionario: è normale buon senso.
Chi lo chiama “catastrofe” forse ha letto più romanzi gialli che articoli del codice.
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