Ripristino del territorio cercasi: il 12% delle famiglie italiane è a rischio inondazione
Ripristino cercasi: tra poco più di 6 anni, scadenze importanti per i Comuni italiani. Quattro enti locali su dieci, tra quelli urbani e quelli periurbani, saranno tenuti a ripristinare le proprie aree urbane. Lo rivela una delle carte dell’Atlante dei dati ambientali 2024 presentato a Torino dall’Ispra, l’ente governativo vigilato dal Mase che monitora lo stato dell’ambiente in Italia.
Anche al fine di supportare il percorso del governo nella redazione del Piano nazionale di ripristino, la nuova edizione dell’Atlante tiene in considerazione quanto previsto dal recente regolamento europeo sul ripristino della natura, la Nature Restoration Law entrata in vigore il 18 agosto scorso che obbliga gli Stati membri Ue ad assicurare il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate terrestri e marine, ed entro il 2050 di tutti gli ecosistemi degradati, richiedendo pure che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030 e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031.
Oltre agli ecosistemi urbani dovranno essere fatti interventi di ripristino negli ambiti agricoli, forestali, costieri, marini e fluviali. Allo stato attuale il 23,3% degli ecosistemi italiani risentono di una frammentazione elevata, mentre quasi un quinto (17,5%) è a frammentazione molto elevata. Nel 74% degli habitat mappati dalla Carta della Natura, i sistemi ambientali in cui le attività antropiche risultano predominanti, come le coltivazioni e le aree costruite, sono più della metà del territorio nazionale (52%), mentre tra gli ambienti a maggiore naturalità risultano maggioritari gli habitat forestali e prativi (44%). La restante parte del mosaico ambientale (4%) è costituita da ambienti costieri, umidi e rocciosi.
Un lavoro assai particolareggiato che non comprende solo aree degradate perché contiene anche un’intera sezione dedicata ai cambiamenti climatici, dove le schede sullo stato del clima, sugli indicatori di impatto e sulle strategie di contrasto, offrono un quadro conoscitivo che consente la valutazione della situazione. Ciò che spesso, nel quadro di insieme o localmente, è stato tralasciato o conosciuto male, una delle cause dei mancati interventi ogni volta riemersi solo all’atto di una nuova emergenza.
Ad esempio l’Atlante, circa la pericolosità idraulica, evidenzia le aree più critiche, stimando che ricadano in aree potenzialmente inondabili, per uno scenario medio di pericolosità (P2), l’11,8% delle famiglie, il 13,4 % di imprese e il 16,5% di beni culturali, con un conseguente impatto economico e sociale.
Da qui, l’urgenza del ripristino: la progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali. E il consumo di suolo continua a crescere, con una progressiva diminuzione della superficie destinata all’uso agricolo, una perdita di biodiversità e un aumento del degrado complessivo del territorio.
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