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Politica

La rivoluzione del sindacato ora la fa la Consulta

Arriva la sentenza che spalanca i criteri della rappresentanza

di Giovanni Vasso -


Contrordine compagni, la rivoluzione (anche nel sindacato) non si fa in strada, né con gli scioperi generali. La vera rivoluzione (e questo la sinistra lo sa benissimo) si fa con le sentenze. Facile, veloce ed efficace. E sarà davvero una rivoluzione ciò che accadrà dopo la sentenza 156 della Corte costituzionale. In nome del pluralismo, la Consulta ha scardinato gli ultimi paletti in tema di rappresentanza sindacale: anche le sigle che non hanno partecipato alle trattative per i contratti nazionali potranno costituirsi in Rsa aziendali.

La rivoluzione per il sindacato

Una rivoluzione, appunto per tutto il sindacato. Che rischia di cambiare, una volta e per sempre, il volto del sindacalismo italiano. Imprimendo l’accelerata all’ormai innegabile decadenza della Triplice. A cominciare dalla Cgil, che ormai da anni perde iscritti. Una questione che, ad agosto scorso, è tornata prepotentemente d’attualità quando si è scoperto che, nel corso dell’ultimo anno, il sindacato guidato da Maurizio Landini aveva subito una ulteriore pioggia di disdette e defezioni: ben 45mila tessere in meno. Se i sindacati tradizionali sentono, sempre di più, il peso degli anni e della sfiducia dei lavoratori, emergono sempre più realtà, spesso settoriali, comunque “nuove” che raccolgono adesioni e consensi.

La questione dello Statuto dei lavoratori

Ma che, fino a qualche giorno fa, non potevano costituirsi in Rsa a causa del divieto esplicito costituito dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Che escludeva, del tutto, la presenza nelle rappresentanze sindacali aziendali, delle sigle che non avevano partecipato alla sottoscrizione dei contratti nazionali. Un requisito durissimo. Che però servì, col referendum del ’95 voluto dall’ala sinistra Cgil, dai Cobas e da Rifondazione, ad aprire il mondo della rappresentanza sindacale a quelle sigle che non fossero le “maggiormente rappresentative”, e cioè quelle della Triplice. La questione contrattuale era già stata mitigata nel 2013 quando la Consulta aprì parzialmente agli altri sindacati, ammettendo quelli che avessero partecipato alle trattative per la contrattazione. Quella sentenza, Landini, la ricorderà bene: consentì alla Fiom, esclusa al tavolo Fiat, di rientrarci a pieno diritto.

La sentenza della Consulta

Adesso, in nome del pluralismo che è diritto costituzionale fondamentale e applicando una certa ragionevolezza, i giudici della Consulta riconoscono ai sindacati che abbiano una riconosciuta rappresentatività nazionale di costituirsi e nominare rappresentanti sindacali aziendali a prescindere dal contratto collettivo nazionale di lavoro che sia applicato nell’azienda. E questo punto è centrale ed è proprio su questo che ci si scontrerà da qui ai prossimi mesi. Difatti la Corte costituzionale ha demandato al legislatore il compito di procedere a una organica revisione della materia che sia “capace di valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori”. Sull’argomento, la Uil ha già fatto pervenire il suo punto di vista con la segretaria confederale Vera Buonomo secondo cui occorrono “due semplici norme di sostegno agli accordi interconfederali con regole certe e criteri oggettivi, per un sistema trasparente, democratico e condiviso, che evitino di lasciare ai tribunali o alle aziende la definizione della rappresentatività”. Già, perché il grande paradosso del sindacato era proprio questo. Far decidere agli altri, e non agli stessi lavoratori, chi dovesse rappresentare chi. Va da sé che la parola torna alle Aule. Ma, intanto, le conseguenze sembrano ovvie.

Chi scalpita e chi trema

La possibilità di poter nominare rappresentanze sindacali aziendali sarà allargata a tante altre sigle che, nel frattempo, sono cresciute e che, con la possibilità di poter confrontarsi direttamente con la parte datoriale, possono addirittura crescere. E proprio mentre i nuovi gruppi scalpitano, desiderosi di ottenere il riconoscimento e di scorciarsi le maniche, dall’altra parte c’è la crisi, profonda, del sindacato più tradizionale. A cominciare proprio dalla Cgil, che continua a perdere iscritti e che conta, in proporzione, un numero sempre maggiore di pensionati tra le sue fila. La rivoluzione non si fa in piazza e la versione barricadera del sindacato di opposizione continua a non convincere troppo i lavoratori. Meglio farla con le sentenze, la rivoluzione. In attesa che il Parlamento trovi il tempo di mettere mano alla materia della rappresentanza in un momento storico. Che, tra precariato di ritorno, delocalizzazioni che non si fermano e l’incubo dell’Ai, è decisivo per il futuro di tutti. Non solo del sindacato.


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