Cultura & Spettacolo

Rocco Schiavone batte il 5 Pronto a tornare su Rai 2

di Redazione -


di LORENZA SEBASTIANI
“Un eroe per imbecilli”, o ancora “un farabutto che si fa i cannoni, un ladro, un corrotto, un procacciatore di prostitute e un violento”.
Il caso Rocco Schiavone anni fa ha fatto impazzire la destra, al punto da valere nel 2016 un’interrogazione parlamentare di Gasparri, Giovanardi, Quagliariello. «Se un poliziotto si comportasse davvero così», contestava Gasparri all’epoca, «andrebbe sospeso dal servizio». L’oggetto della discussione era il personaggio in sé, Rocco Schiavone, interpretato dall’attore Marco Giallini, che prende vita dai romanzi di Antonio Manzini editi da Sellerio. Per via del suo innegabile successo di ascolti è stato negli anni ipotizzato un passaggio su Rai1. Ma alla fine Rai2 è rimasta e rimane la dimora ufficiale.
Un poliziotto bordeline, dicevamo, che si fa addirittura le canne, «se uno vede una serie Netflix le canne se le fanno persino nella culla», ha scherzato Giallini alla presentazione della nuova stagione, «Le serie americane non è che siano migliori, ma Schiavone rimane un personaggio della letteratura italiana. Ricordo che a Lando Buzzanca a un certo punto non fecero dire più ‘mannaggia’ in una sigla. Gli attacchi? Che devo dire, è pure giusto così. “Che messaggio diamo?”, dicono. Ma che messaggio volemo da’? Certo, posso capire, siamo sulla la televisione di Stato. Ma se accendo il televisore, di messaggi ce ne sono svariatelli….».
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal 2016 e la Rai ha continuato a dare fiducia a questa fiction, perché di fronte al successo numerico di ascolti, risulta molto complicato mettere un paletto etico.
Torna quindi Rocco Schiavone alla sua quinta stagione, dal 5 aprile su Rai2 alle 21.25. Quattro serate per la regia di Simone Spada.
La storia riparte da un momento tragico, Schiavone gravemente ferito. «Lo ritroviamo guarito», racconta Giallini, «più stanco, ma vivo. Il successo di questa serie è dovuto al fatto che è scritta, diretta e interpretata bene».
Schiavone è un vicequestore in forza alla Polizia di Stato, romano fin nel midollo, che si ritrova a dover svolgere le sue funzioni nella città di Aosta. «Una città nella quale ormai mi sono ambientato», racconta l’attore, «quando ci torno mi sento ormai a casa».
Sarcastico, anarchico, anticonvenzionale e poco ortodosso nei metodi di indagine, vive mal volentieri, odia il suo lavoro e odia anche Aosta. Però ha talento e trova nella ex moglie Marina, morta, che gli compare regolarmente nel suo immaginario, una spinta emotiva per la sua missione personale, cioè trovare pace e giustizia nel mondo intorno a sé.
Un uomo con un passato oscuro, con molti scheletri nell’armadio, trasferito al Nord per via di un misterioso provvedimento disciplinare, si trova a confrontarsi con il lato più oscuro di sé, trovando di tanto in tanto un sollievo. Uno che vive di illusioni e disillusioni costanti. «Non siamo poi così distanti», racconta Giallini, «è malinconico, me lo sento vicino, con questa sorta di buco nero dentro. E poi è la prima volta che interpreto un personaggio per tanto tempo».
Anche il regista Spada ha un rapporto particolare con Schiavone: «Sono legato a questo personaggio e alle sue storie, perché viene da una scrittura che mi piaceva ancora prima di potermi immaginare regista di questa serie. Anche in questa stagione come nelle precedenti si arricchiscono ulteriormente le linee dei personaggi che lo circondano, le sue amicizie, i suoi amori mancati o schivati, i rimpianti, gli incontri e alcuni ritorni».
Antonio Manzini è la vera penna del progetto, autore, che ha dato vita a Schiavone su carta. «Sono sincero, quando scrivo di Schiavone non penso al volto di Giallini, anche se la sua interpretazione lo rispecchia molto bene. il fatto è che Schiavone può avere tanti volti. Se ci sono cento lettori ci saranno cento Schiavone diversi. Quante Madame Bovary esistono? Dipende da quanti lettori leggeranno la sua storia».
Siamo di fronte al solito conflitto: è giusto imbrigliare l’arte, seppur si tratti di semplice serialità televisiva? Quali sono i confini da rispettare, nel racconto mediatico popolare? E saranno ancora una volta i numeri a darci la risposta. Se in tanti lo seguiranno, significa che saranno in molti a trovarvi ancora uno spunto di piacevole riflessione.

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