Roma, femminicidio al Portuense: uccide ex con colpo di fucile poi si costituisce
(Adnkronos) – Ennesimo femminicidio oggi, 4 luglio, a Roma. Intorno alle 14 Manuela Petrangeli, una fisioterapista di 51 anni, è stata freddata in strada nel quartiere Portuense con un colpo di fucile a canne mozze sparato da un'auto di piccola cilindrata in via degli Orseolo. La vittima era a piedi e stava andando al lavoro alla casa di cura Villa Sandra, quando è stata raggiunta dall'ex compagno di 53 anni, al volante di una Smart (nella foto Adnkronos), che le si è accostato con la macchina e ha sparato. Inutili i tentativi di rianimarla da parte del 118, la donna è morta sul colpo. Poco dopo si è costituito in una caserma dei carabinieri il suo presunto assassino. Si tratta dell'ex compagno della vittima. Il 53enne ha consegnato il fucile con cui ha ucciso la donna. A quanto si apprende non risulterebbero denunce presentate in passato. La coppia, che si era lasciata da tre anni, aveva un figlio di 9 anni. Sull’omicidio la procura di Roma ha aperto un fascicolo coordinato dai pm del pool antiviolenza. Sul corpo della donna verrà disposta nelle prossime ore l’autopsia. "Gianluca mi ha telefonato poco dopo le 14. Biascicava, mi ha detto ‘le ho sparato’ e quando ho capito ho pensato di essere finita in un incubo” dice all’Adnkronos è Debora Notari, ex compagna di Gianluca Molinaro. È stata la ex, anche lei operatrice socio sanitaria e madre della prima figlia dell’uomo, a convincere Molinaro a costituirsi alla stazione dei carabinieri di Casalotti. E qui, davanti alla Smart con la quale l’uomo ha raggiunto la vittima prima, in via degli Orseolo, e la caserma poi, racconta: “L’ho convinto io a venire dai carabinieri, lui voleva ammazzarsi. Ma ora non so che fare, mia figlia non sa niente, con lui aveva rapporti non buoni, ma un conto è un padre str… che non paga gli alimenti, un altro un padre assassino”. “Quando ha squillato il telefono e ho visto che era lui, ho creduto avesse discusso con nostra figlia – continua Debora -. Anche noi avevamo pessimi rapporti, lo denunciai per maltrattamenti quando nostra figlia andava alle elementari, mi picchiava e lo feci arrestare. Poi però, dopo un paio di mesi in carcere, aveva fatto dei percorsi. Io sapevo che con questa donna si era lasciato ormai tre anni fa”. E poi la telefonata: “Ho risposto e lui era ubriaco, biascicava – dice Debora -. Mi ha detto che aveva sparato, che l’aveva uccisa. Non capivo, non ci volevo credere. Non riuscivo ad alzarmi. Quindi gli ho chiesto dove fosse, ha detto che era in macchina a Selva Candida, che voleva ammazzarsi. Ma io sapevo che non lo avrebbe mai fatto. A quel punto ho fatto quello che avrebbero fatto tutti: gli ho detto di andare dai carabinieri, che tutto si sarebbe risolto, che tanto lo avrebbero preso e che sarei andata a trovarlo con nostra figlia, anche se non lo pensavo. Non so nemmeno come ho fatto a convincerlo, ma ci sono riuscita. L’ho tenuto al telefono per tutto il tempo, fino a quando non è arrivato dai carabinieri e mi ha chiesto ‘che ci faccio col fucile?’. Voleva portarselo dietro. Gli ho detto di lasciarlo in macchina e ho attaccato solo quando mi ha passato un carabiniere e ho capito che ce l’avevo fatta”. “Mi tremavano le gambe. Potevo esserci io lì, ho pensato – va avanti Debora -. Forse la famiglia di lei aveva sottovalutato il suo passato. Adesso riesco solo a pensare a quella povera creatura rimasta sola”. (di Silvia Mancinelli) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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