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Romina Ceragioli, ecco la costumista culinaria

di Nicola Santini -


Si chiama costumista culinaria. Con una waiting list impressionante per averla tra i fornelli di casa. Veste i piatti come farebbe con le star. “Le stelle come cuoca, le conquisto così”. Sono diversi i vip che la chiamano in giro per il mondo per cucire su misura i loro menu. Romina Ceragioli dieci anni fa si è inventata un mestiere. Dopo aver lavorato a Cinecittà nelle sartorie delle fiction più conosciute ha seguito le orme di famiglia: “mamma e nonna erano cuoche”.

Come ti è venuto in mente di unire questi due mondi?
So che può essere scomoda come risposta, ma a un certo punto ho trovato più interessante vestire un piatto che una persona. Questo per rendere più poetico il fatto che dentro di me ho sentito che è così che doveva andare.

Raccontaci la tua prima volta.
La prima volta che sono stata pagata? (ride, ndr). Le prime cene ci mettevo una giornata. La primissima dai genitori della mia migliore amica. All’inizio ho fatto pratica offrendomi di cucinare da amici, sperando nel passaparola. Fino alla chiamata. Tre giorni diplanning per una cena da 8. Oggi posso organizzarmi anche due ore prima. La cucina era minuscola e io nel panico. Poi, la magia: quando mi metto ai fornelli passa tutto. Lavorare nello spettacolo mi ha insegnato a guardare in faccia il pubblico: erano felici, mi sono rilassata. Poi c’è una cosa in comune nei due lavori: tutto è su misura.

Al di là della creatività, in cosa ti distingui dagli chef a domicilio che ormai troviamo ovunque?
Non impongo il mio stile, non arrivo con menu predefiniti. Guardo le persone e capisco cosa cucinerebbero con le loro mani se avessero capacità di farlo, per rendere felice il loro palato e quello dei loro ospiti. Rispetto il loro stile, lo traduco. Non ho tabù: se c’è qualcuno che ama il burro o la panna, demonizzati spesso dagli chef blasonati, perché tirarmi indietro?

E se ti dicono: fai tu?
Tiro fuori il mio jackpot. Mi diverto. Chiedo le informazioni di base, utilizzo tecniche più evolute, avvicinandole alla tradizione. Sono toscana, ho vissuto sempre guardando la nonna e la mamma in cucina, però non sono granitica sull’esecuzione. Guardo avanti.

La tua esperienza internazionale dove inizia?
La prima volta che ho preso armi e bagagli è stata a New York. Quando volevo lavorare come costumista il mio sogno era Broadway. Così, sfruttando un’agenda di americani che avevo servito a Forte dei Marmi e che mi avevano chiesto di organizzarmi nella Grande Mela, non ci pensai due volte: il segnale che aspettavo era lì, tra le mille luci. Partii con uno zaino da trekking, pieno di pentole e ingredienti. L’olio d’oliva lo porto sempre da casa.

Il primo errore?
A New York andò tutto meravigliosamente, ma non guadagnai nulla. Pensavo, chiedendo 60 dollari a persona di aver chiesto anche troppo. Poi ho capito che lì con quella cifra ci paghi una colazione. I furboni dei clienti, ovviamente, non mi svelarono il segreto: la spesa la devi far pagare a parte, e puoi contare su una mancia sostanziosa.

Cosa ti ha insegnato questo?
Due cose: a New York si va per divertirsi, i soldi si fanno in Connecticut. Per un piatto di ravioli espressi per 10 ti pagano qualsiasi cifra. Ma io resto onesta, non riesco a speculare. Ho capito che a New York, se non ti fai pagare abbastanza, non ti danno valore. Questo, però, me lo hanno insegnato a Miami.

L’episodio più buffo?
Con Marco Mazzoli, a Miami. Tra l’antipasto e il primo, che stavo presentando, mi era sparito un enorme tartufo bianco per le scaloppine. Se lo era sbranato l’alano dei padroni di casa. Loro ne risero. Mi toccò inventare una salsina di verdure, ancora oggi uno dei miei must.

Hai lavorato anche per la famiglia Del Vecchio…
Sono partita con loro per la Repubblica Dominicana e rimasta vari mesi. Dopo aver lavorato lì mi hanno chiamato da qualsiasi parte del globo, Buckingham Palace compreso. Le agenzie di tutto il mondo hanno iniziato a chiamarmi. Avevo un bambino di due anni che per 7 mesi non ho visto. Però ogni giorno, un capitolo culinario diverso. Ogni amico loro aveva una dieta per il proprio biotipo. Mi inventavo tisane, zuppe, decotti. Ho rischiato di impazzire, poi ho cominciato ad attingere dal loro orto e a inventarmi piatti vegetariani creativi, conquistando tutti.


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