Economia

Sanità, è fuga dal Mezzogiorno: i pazienti scappano al Nord

di Giovanni Vasso -


Fuga dal Mezzogiorno: anche sotto il profilo della sanità, l’Italia è un Paese a due velocità. E ai cittadini del Sud il divario con gli italiani del Nord costa fino a un anno e mezzo in termini di aspettativa di vita mentre la mortalità infantile meridionale risulta essere pari al doppio di quella che si riscontra nelle altre aree del Paese. Ieri mattina è stato presentato a Roma il report sul diritto alla salute realizzato da Svimez in collaborazione con Save the Children. I risultati dipingono un quadro drammatico della situazione. Che parte dai numeri. La spesa pubblica sanitaria, in tutta Italia, s’è praticamente fermata dopo il Covid. Il nostro Paese investe, in salute, solo il 6.6% del Pil. Bruscolini  rispetto a quanto si faccia altrove, come in Germania e Francia, dove il rapporto tra prodotto interno lordo e spesa sanitaria è pari, rispettivamente, al 9,4% e all’8,9%. Al Sud, se possibile, le cose vanno anche peggio dal momento che le Regioni che spendono meno in sanità, in rapporto ai residenti, risultano essere la Calabria (1.748 euro), seguita dalla Campania (1.818 euro), dalla Basilicata (1.941) e dalla Puglia (1.978). Numeri che, se rapportati ai Lea, dimostrano che ben cinque Regioni, tutte meridionali, risulterebbero inadempienti rispetto ai livelli minimi fissati dallo Stato.

Tutto ciò comporta conseguenze che sono devastanti per la salute pubblica. Al Sud, dove la povertà sanitaria è doppia rispetto a quella che si registra al Nord (8% delle famiglie meridionali a differenza del 4% riscontrato nel Settentrione) l’aspettativa di vita è di un anno e mezzo inferiore. La speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali è di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Ma non basta: il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord. La beffa che si aggiunge al danno sta nei riferimenti temporali: nel 2010, cioè non più di quattordici anni fa, i due dati erano allineati. Insomma, la sanità nel Mezzogiorno arranca già nei fondamentali. E, soprattutto, ha registrato un’inquietante involuzione rispetto a pochi anni fa.

Se lo scenario è questo, non fanno più impressione i dati impressionanti legati al turismo sanitario. I numeri complessivi parlano, nel 2022, di circa 629mila pazienti ricoverati fuori Regione. Di questi, il 44% proveniva dal Mezzogiorno. Il Sud, già a livello di screening e prevenzione oncologica (per dirne una: in Calabria solo l’11,8% delle donne si è sottoposta ai controlli, in Campania una su cinque, poco più del 20%), è drammaticamente indietro rispetto all’altra Italia. In totale, i numeri dei  Perciò chi ha la sfortuna di aver contratto un cancro o qualunque altra patologia anche non neoplastica ma comunque grave, se può, scappa al Nord. Il flusso di pazienti dalla Calabria è il più alto d’Italia. Il 43% dei malati cerca cure nelle strutture sanitarie di altre Regioni “non confinanti”. Subito dopo c’è la Basilicata, col 25% di “migranti” sanitari. Al terzo posto c’è la Sicilia (16,5%). Numeri che inducono gli analisti di Svimez e Save the Children ad acclarare che “al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza”. La propensione a scappare via dal Mezzogiorno si acuisce di fronte alle patologie pediatriche.  “Nel 2020 – si legge nel Report – si attesta  in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria”. Ciò si confermerebbe come un inequivocabile “segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno”. O di entrambe. Il dg Svimez Luca Bianchi ha commentato così i risultati scaturiti dall’inchiesta: “La necessità di incrementare le risorse complessivamente allocate alla sanità convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del Ssn. I dati del report offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi oltre ai costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”.


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