Altro che guadagnare di più: pure Schlein ribalta la profezia di Prodi
Per l'Istat le paghe reali sono inferiori dell'8,8% rispetto al 2021, e ora si arroventa il dibattito sulla manovra
Si parla di manovra, ma soprattutto di salari bassi perché, forse, l’ha capito anche il Pd di Elly Schlein che quella antica, e irrealizzata, profezia di Romano Prodi non si è realizzata.
Si comincia oggi. Al Senato. A Palazzo Madama arriva la manovra. E il ministro Giancarlo Giorgetti dovrà penare, e non poco, per far quadrare i conti, evitando che i parlamentari gli scardinino la legge di bilancio con cui punta a prendere due piccioni (l’uscita dalla procedura del deficit e la fiducia dei mercati internazionali) con una fava (il rimpicciolimento delle misure espansive). Il dibattito è già partito. E ieri proprio Giorgetti ha incontrato il vicepremier Matteo Salvini per fare il punto sul (vero) problema lamentato da via Bellerio. I tagli, da oltre mezzo miliardo, al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Definanziamenti diffusi, tra cui quelli alla Metropolitana di Roma di cui s’è parlato, e ci si è divisi (anche in maggioranza, con il tackle di Forza Italia) anche in maggioranza. Tutta fuffa, ha giurato Giorgetti. Dando la colpa ai soliti giornalisti cattivi che hanno creato “tutta una letteratura” su quello che andava, secondo lui, più correttamente interpretato come “una normale dialettica tra Mef e Mit”. Un confronto a suon di miliardi (tagliati). Il testo, oggi, arriva al Senato. Lunedì si riuniscono le commissioni Riunite. La marcia verso il limite (massimo) del 31 dicembre è iniziata. Giorgetti, la partita, vorrebbe chiuderla molto prima. Forza Italia, invece, non ha la minima intenzione di cedere su alcuni punti. Ha lasciato perdere il ddl Concorrenza, ora si aspetta correttivi importanti sugli affitti brevi. Almeno per una cosa, gli azzurri, occorrerà pure che la ottengano. Il ministro all’Economia, però, demanda tutto al Parlamento: “Non sono né il Papa né Trump, deciderà l’Aula”. Che, mai come in questi giorni, è litigiosa. Vige l’incomunicabilità a tutti i livelli. Dentro e fuori la maggioranza. Anche sulle cose serie, forse soprattutto su quelle. L’Istat ha riferito ieri che i salari in Italia, sebbene nominalmente siano in crescita, risultano comunque in perdita, in termini reali. La retribuzione oraria, tra gennaio e settembre, sale del 3,3% ma, riferiscono da via Balbi, “le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8% ai livelli di gennaio 2021”. Quello che fu il periodo più duro dell’immediato post-pandemia. Lo scontro politico sui numeri Istat, oggi, rappresenta plasticamente come non è mica vero che la matematica non sia un’opinione. Tutt’altro. Fratelli d’Italia rivendica il successo sul trend annuale, Schlein e Conte, prodi all’attacco, dicono che “nega la realtà” e che i salari sono in caduta libera. E, detto tra noi, fa un po’ sorridere il fatto che sia proprio dalle parti del Pd che è giunta la considerazione per cui gli italiani lavorano, oggi, un anno intero per guadagnare una mensilità in meno. “Questo – ha tuonato Schlein – significa che, in media, chi lavora perde uno stipendio all’anno”. Sembra un po’, quello di Schlein, l’esorcismo, definitivo, dell’arzigogolato sussurro di Romano Prodi ai tempi di Maastricht e dell’euro: “lavorare un giorno in meno, guadagnare un giorno in più”. Non è andata per niente così. Anzi, proprio per soddisfare le pressanti richieste di Bruxelles sono saltate alcune delle misure di cui s’era parlato, forse con troppa fiducia, alla vigilia del valzer delle bozze. A cominciare dalla detassazione delle tredicesime che avrebbe dato fiato e respiro alle famiglie italiane. Il Pd promette correttivi ma già sa che nessuno ascolterà. E, per questo, si arrocca sulla proposta identitaria e di bandiera del salario minimo.
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