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Silicon Bank fallimento di Stato. Via all’inchiesta sul crack lampo

di Cristiana Flaminio -


Sarà un’inchiesta, anzi forse più di una, a far chiarezza sulle cause che hanno portato al crac della Silicon Valley Bank. Il dipartimento di Giustizia americano sarebbe intenzionato a indagare sul fallimento più veloce e clamoroso della storia bancaria recentissima degli Stati Uniti. Intanto, in Europa, si ostentano fiducia e forza. E il caso Svb diventa, subito, una clava politica da utilizzare contro i governi non proprio entusiasti, per non dire apertamente riottosi, a ratificare il nuovo regolamento Mes. Come quello italiano.

“UN IDIOTA ASSOLUTO”

La stampa americana è in fibrillazione. La Sec, l’autorità di vigilanza della borsa di Wall Street, e il dipartimento di Giustizia hanno intenzione di passare al setaccio le mosse dei vertici della banca più amata dai democratici californiani per capire come ne sia stato possibile il fallimento. Nel mirino ci sono le mosse del Ceo Greg Becker. Che, a pochissimi giorni di distanza dall’ora fatale di Svb, ha dismesso azioni per 3,7 milioni di dollari della banca che amministrava. Come lui, anche il financial officer di Silicon Valley Bank, Daniel Beck, aveva ceduto quote azionarie sul mercato prima che si innescasse la clamorosa crisi che ha portato, in appena 48 ore, al fallimento della banca. Stando a quanto riporta il Wall Street Journal, saranno i procuratori specializzati in frodi di Washington e di San Francisco a condurre l’indagine. Nel frattempo emergono, di continuo, nuovi particolari sulla vita quotidiana negli uffici dell’istituto di credito preferito delle start-up americane. Una fonte ha spifferato alla Cnn che i dipendenti della banca odiavano, letteralmente, il Ceo Becker. Considerato “un idiota assoluto”, tradito dalla troppa trasparenza e dall’incapacità di fare “quello che fanno tutti”. E cioè? “Salire su un jet e volare in Kuwait per cedere il controllo di un terzo della banca”.

LA “VENDETTA” DI MOODY’S

La polemica ha colpito, come c’era da attendersi, le agenzie di rating. Che avevano speso parole al miele per la Silicon Valley Bank, il colosso amico dell’ambiente, paladino delle start-up ma evidentemente non così solido da giustificare il rating tripla A conferitogli da Moody’s. Che, adesso, non si fida più del sistema bancario Usa al punto da degradarne l’outlook da “stabile” a “negativo”. Intanto ha declassato a “junk” cioè spazzatura i titoli di Signature Bank, travolta dal fallimento, e ha messo sotto osservazione cinque piccoli istituti di credito Usa. Per l’agenzia è “colpa” della Fed e della sua corsa al rialzo dei tassi di interesse: “Il nostro scenario di base prevede un continuo inasprimento monetario da parte della Fed, che potrebbe aggravare le difficoltà di alcune banche”. Per Moody’s “sebbene il Dipartimento del Tesoro, la Federal Reserve e la Fdic abbiano fornito sostegno ai clienti delle banche, il rapido e sostanziale declino della fiducia dei depositanti e degli investitori bancari che ha portato a questa azione evidenzia chiaramente i rischi per la gestione delle attività e delle passività delle banche statunitensi, esacerbati dal rapido aumento dei tassi di interesse”.

DAL CRAC AL MES

L’Europa non ha paura. Almeno, in Ue si ostenta sicurezza. Le banche europee escludono anche solo l’ipotesi di un contagio dopo il crac di Svb. Le istituzioni comunitarie tentano di esorcizzare la grande paura che si aggira sui mercati europei. Lunedì il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha riferito che “non c’è contagio diretto e la possibilità di contagio indiretto va monitorata” ma, spiega, “per il momento non vediamo un rischio significativo”. Ieri, il vicepresidente della commissione Ue Valdis Dombrovskis, ha aggiunto: “Non prevediamo un effetto contagio. Stiamo monitorando la situazione, dopo la risoluta reazione delle autorità Usa. C’è una presenza molto limitata di questa banca americana nell’Ue e siamo in contatto con le varie autorità”. Intanto, c’è chi tenta di “capitalizzare” il fallimento per raggiungere risultati politici. Il neo presidente del Mes, Pierre Gramegna, ha bussato alle porte del governo italiano: “Le turbolenze degli ultimi giorni sottolineano quanto sia importante che il Trattato sul Mes venga ratificato da tutti i Paesi. Il meccanismo di risoluzione sarebbe uno dei maggiori miglioramenti e in queste frasi è meglio avere quante più garanzie possibile sulle banche”.

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