Esteri

Siria: scontri tra fazioni e pioggia di bombe. Al-Jolani parla di “purificazione”, Biden assolve i terroristi

di Ernesto Ferrante -


Resa dei conti filo-turchi e curdi nel nord della Siria. Le forze sostenute dalla Turchia hanno lanciato un’offensiva nella regione di Manbij, pochi giorni dopo aver conquistato l’enclave curda di Tal Rifaat.

“Le fazioni filo-turche hanno conquistato ampie zone della città di Manbij, nella campagna orientale di Aleppo, dopo violenti scontri con il Consiglio militare di Manbij”, ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Il Consiglio è affiliato alle Forze Democratiche Siriane, controllate dai curdi e sostenute da Washington, che controllano ampie porzioni di territorio nella Siria nord-orientale.

Gli scontri hanno causato la morte di 9 combattenti filo-turchi e di almeno 17 membri del Consiglio militare di Manbij. Le fazioni sostenute da Ankara hanno reso noto, sul loro canale Telegram, di aver “preso il controllo della città di Manbij a est di Aleppo dopo feroci battaglie”.

Israele ha sfruttato la situazione per varcare il confine. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato alle Idf di assumere il controllo completo della zona cuscinetto tra lo Stato ebraico e Siria, dopo che ieri l’esercito ha iniziato a dispiegarsi nell’area. Katz ha inoltre ordinato ai militari di creare una “zona di sicurezza libera da armi strategiche pesanti e infrastrutture terroristiche” a Sud.

Tel Aviv ha anche lanciato attacchi contro depositi di armi nell’est della Siria. “Israele ha condotto attacchi aerei su depositi di armi e posizioni che appartenevano al defunto regime e a gruppi sostenuti dall’Iran nella provincia orientale di Deir Ezzor”, ha raccontato all’Afp Rami Abdel Rahman, direttore dell’osservatorio siriano con sede a Londra.

Bombe anche dagli Usa. Gli Stati Uniti hanno effettuato “decine di attacchi aerei” nella Siria centrale, prendendo di mira “più di 75 obiettivi” dello Stato islamico. Lo ha annunciato il Centcom, il comando militare americano per il Medio Oriente. “Non dovrebbero esserci dubbi: non permetteremo all’Isis di ricostituirsi e di approfittare dell’attuale situazione in Siria”, ha detto il generale Michael Erik Kurilla in un comunicato del Centcom, aggiungendo che “tutte le organizzazioni in Siria dovrebbero sapere che le riterremo responsabili se collaborano o supportano l’Isis in qualsiasi modo”.

“Gli attacchi contro i leader, gli agenti e i campi dello Stato Islamico sono stati condotti come parte della missione in corso per interrompere, degradare e sconfiggere l’Isis, al fine di impedire al gruppo terroristico di condurre operazioni esterne e per garantire che l’Isis non cerchi di trarre vantaggio dalla situazione attuale per ricostituirsi nella Siria centrale”, si legge nella nota del Pentagono.

L’operazione “ha colpito oltre 75 obiettivi utilizzando più risorse dell’aeronautica militare statunitense, tra cui B-52, F-15 e A-10. Sono in corso le valutazioni dei danni di battaglia e non ci sono indicazioni di vittime civili”. Il Centcom, insieme ad alleati e partner nella regione, “continuerà a svolgere operazioni per ridurre le capacità operative dell’Isis anche durante questo periodo di cambiamento in Siria”.

Jolani parla da leader, lanciando un messaggio agli altri contendenti. “Questa vittoria, fratelli miei, è un trionfo per l’intera comunità islamica. Questa vittoria, fratelli miei, è storica per la regione”, ha affermato Abu Mohammad al-Jolani parlando dalla Moschea degli Omayyadi nella capitale Damasco.

Entrando nel luogo sacro della Città Vecchia, il capo del gruppo islamista sunnita Hayat Tahrir al-Sham (Hts) è stato accolto da una folla che scandiva “Allah Akbar” (Dio è il più grande), come hanno mostrato numerosi video circolati sui media.  “Oggi la Siria è stata purificata”, ha continuato al-Jolani, il cui vero nome è Ahmed al-Chareh. In un video pubblicato dai ribelli su Telegram, ha usato parole care agli integralisti: “Questa vittoria è stata resa possibile dalla grazia divina, dal sangue dei martiri e dalla sofferenza di coloro che hanno languito in prigione”.

Sotto Assad, la Siria è stata “consegnata all’avidità iraniana” e al “settarismo e alla corruzione”, ha denunciato ancora Abu Mohammad al-Jolani che è arrivato a Damasco dopo un’offensiva lampo contro le forze di Bashar al-Assad.

Il doppio standard americano. Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti sosterranno la regione “se dovesse arrivare qualche minaccia dalla Siria durante questo periodo di transizione”. Poi ha garantito: “Rimarremo vigili”, sottolineando le radici terroristiche di molti degli insorti.

Tuttavia, il presidente in carica (ancora per poco), ha rimarcato che questi gruppi “ora stanno dicendo le cose giuste”, e ha citato in particolare il caso di Austin Tice, il giornalista americano detenuto in Siria da 12 anni, assicurando che gli Stati Uniti sono determinati a ricongiungerlo alla sua famiglia: “Crediamo che sia vivo Pensiamo di poterlo riavere”.

“Alcuni dei gruppi ribelli che hanno spodestato Assad hanno un triste curriculum di terrorismo e di violazioni dei diritti umani”, ha ammesso Biden, avvertendo di aver “preso nota” e che “valuteremo non solo le loro parole, ma anche le loro azioni”.

Teheran tiene i toni bassi. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha ribadito che è il popolo siriano a dover decidere “sul futuro del proprio Paese e del suo sistema politico e governativo”. Le sue parole sono arrivate in un discorso al gabinetto a Teheran, secondo quanto riportato dai media statali.

I ribelli siriani che hanno rovesciato il governo di Assad hanno “garantito la sicurezza delle basi militari e delle istituzioni diplomatiche russe sul territorio siriano”. Lo ha rivelato una fonte del Cremlino alle agenzie russe, precisando che i “funzionari russi sono in contatto con i rappresentanti dell’opposizione armata siriana”.


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