Startup e PMI: chi vince la maratona?
Paolo Licata ci parla di startup e PMI, esplorando le differenze in termini di crescita, innovazione e rischi sul lungo periodo.
Peter Drucker diceva: “La cultura mangia la strategia a colazione”.
Le startup e PMI (Piccole Medie Imprese) non innovative rappresentano due realtà imprenditoriali molto diverse, sia per approccio all’innovazione che per modalità di crescita e adattamento al mercato.
Sebbene entrambe mirino a conquistare quote di mercato, la loro strategia e il loro modo di affrontare le sfide legate all’innovazione differiscono profondamente. Corrono a ritmi diversi, con una cultura aziendale e un approccio al mercato diverso, ma chi vince la maratona sul lungo termine?
Statisticamente, il tasso di fallimento delle PMI in Italia è considerevole, circa il 30-40% nei primi cinque anni di vita; motivazione spesso dovuta alle difficoltà di accesso al credito, mancanza di liquidità e problemi gestionali, insieme ad una mancanza di struttura per la visione a lungo termine.
Il tasso di fallimento delle startup, è ancora più elevato: circa 9 su 10 falliscono. Le cause principali sono legate a modelli di business poco sostenibili, team fondatore inadeguato, mancanza di fondi e difficoltà nello scalare rapidamente in un mercato competitivo.
L’ecosistema startup, inoltre, è particolarmente vulnerabile a fattori economici esterni, come l’aumento dei tassi di interesse, che riducono la disponibilità di investimento.
Facciamo un passo indietro, ripartiamo dalle definizioni teoriche:
- Una startup è un’impresa nascente caratterizzata da un modello di business scalabile e innovativo. Solitamente operante in settori tecnologici o emergenti, la startup si distingue per la sua capacità di crescere rapidamente grazie all’innovazione di prodotto, processo o servizio.
- Le PMI sono imprese caratterizzate da un numero limitato di dipendenti e un fatturato contenuto. In Italia, una PMI è definita tale se ha meno di 250 dipendenti e un fatturato annuale non superiore a 50 milioni di euro, oppure un bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.
A differenza delle startup, le PMI tendono a operare in mercati consolidati e a adottare un approccio più tradizionale alla crescita, con un focus sull’ottimizzazione e la stabilità piuttosto che sull’innovazione continua.
Le PMI sono la spina dorsale non solamente dell’Italia, ma del mondo intero!
In Italia, circa il 99,9% delle aziende sono PMI. Più nello specifico, le PMI rappresentano il 41% del fatturato totale del settore privato e circa il 33% degli occupati nel settore privato. A livello globale, le PMI costituiscono più del 90% delle imprese e contribuiscono a circa il 50% dell’occupazione totale, rendendole una componente cruciale dell’economia mondiale. (OCSE & ISTAT)
Una prima considerazione sulla definizione di startup è che, pur avendo un approccio più dinamico e orientato al rischio rispetto alle PMI, tende a comportarsi come un corridore sui cento metri: può cadere o inciampare, ma è comunque progettata per spingere al massimo in tempi rapidi attraverso una ciclo iterativo di validazione: “Build, Measure, Learn“, costruisci, misura e impara, introdotta da Eric Ries nel suo libro The Lean Startup.
Tuttavia, il problema fondamentale è che molte startup mantengono un approccio “da startup” anche quando sarebbe vantaggioso adottare logiche più strutturate e consolidate tipiche delle PMI.
Come sottolinea Ben Horowitz, co-fondatore di Andreessen Horowitz, “Non è sufficiente avere un’idea; è fondamentale costruire una struttura attorno ad essa”. Questa mancanza di struttura può derivare da un’eccessiva focalizzazione sulla velocità di esecuzione, che porta a un’ossessione per le opportunità immediate e, di conseguenza, a trascurare elementi essenziali della gestione aziendale. Dopo aver raggiunto il product-market fit, ovvero il prodotto che soddisfa pienamente le esigenze di un mercato target, è cruciale aumentare il controllo sulle finanze e sulla gestione operativa.
Infatti, secondo una ricerca condotta da CB Insights, il 29% delle startup fallisce a causa di una cattiva gestione finanziaria, evidenziando l’importanza di una solida pianificazione e monitoraggio.
Le PMI, con la loro esperienza nella gestione sostenibile e nelle pratiche consolidate, possono offrire preziose lezioni su come scalare in modo efficace e sostenibile, garantendo che le startup non solo sopravvivano ma prosperino nel lungo termine.
Questo squilibrio emerge soprattutto nella fase pre-seed, quando le startup sono focalizzate su raggiungere KPI (Key Performance Indicator) che possono impressionare gli investitori piuttosto che validare in modo completo il mercato o concentrarsi su generare ricavi concreti. In questo stadio, spesso si punta a metriche artificiali come il numero di utenti registrati o il volume delle interazioni, trascurando il fatto che una base solida di mercato e ricavi è ciò che consente una crescita sostenibile a lungo termine.
La differenza la fa anche in termini di strategia l’obiettivo finale: la famosa “EXIT”. Le startup hanno un forte bisogno di risorse finanziarie per alimentare la loro crescita.
Questo è evidenziato dalla continua ricerca di venture capital e investimenti ad alto rischio. Nel 2023 si contano oltre 16.000 realtà attive, che si concentrano principalmente in settori ad alto contenuto tecnologico come il software, i servizi digitali e l’Internet of Things.
Anche se nel 2023 si è registrato un calo degli investimenti (-50% rispetto al 2022), il panorama italiano ha comunque superato il miliardo di euro in capitali raccolti. Questo supporto finanziario permette alle startup di concentrarsi sull’innovazione radicale, spingendo i limiti della tecnologia e dei modelli di business, in un contesto iterativo dove il fallimento è parte integrante del processo di crescita.
Dall’altro lato, le PMI non innovative sono più legate a un modello di crescita stabile e graduale, spesso basato su pratiche consolidate e meno inclini all’adozione di innovazioni disruptive.
Queste imprese, che rappresentano una parte significativa del tessuto economico italiano, tendono a concentrarsi su mercati locali o settoriali dove la competizione è meno feroce e l’innovazione non è sempre vista come un imperativo.
Invece di puntare a una rapida scalabilità, le PMI si affidano a una gestione finanziaria più prudente, accedendo principalmente a fondi bancari e finanziamenti pubblici piuttosto che a venture capital. Mentre le startup si basano su cicli rapidi di sperimentazione e adattamento, le PMI non innovative adottano un approccio più tradizionale, privilegiando la stabilità rispetto al rischio. Questo le rende meno flessibili in un ambiente in rapido cambiamento, dove le nuove tecnologie e i modelli di business innovativi stanno rimodellando l’economia.
Le PMI, dovrebbero continuamente esplorare programmi di formazione aziendale e innovazione, allocando almeno 10-15% del fatturato annuale, così da continuare a attrarre talenti, poter aumentare la produttività aziendale e scoprire nuovi strumenti e opportunità tecnologiche che permettono l’efficientamento di costi.
Spoiler: non ci sono vincitori! Startup e PMI rappresentano due realtà completamente diverse, non solo per la cultura aziendale, ma anche per le modalità operative e gli approcci strategici… in un secondo momento una startup può evolversi in una PMI, mentre il processo inverso è molto raro.
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