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Stragi del 1993 indagato di nuovo il generale Mori

di Domenico Pecile -


Ora è ufficialmente indagato a vita. Il generale Mario Mori, ex vice comandante dei Ros e capo dei servizi segreti civili, è stato messo di nuovo sotto indagine ancora una volta per mafia. E, ironia della sorte, ha ricevuto l’avviso di garanzia dalla Procura della repubblica di Firenze, nel giorno del suo 85esimo compleanno. Sarà interrogato in qualità, appunto, di indagato, per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico per gli attentati di Firenze, Milano e Roma risalenti al 1993. Per Mori si tratta di una virata a 360 gradi rispetto al precedente teorema. Insomma, assolto cinque volte dall’accusa di avere tramato con le cosche per evitare nuove stragi, ora è stato messo sotto accusa dell’opposto. Vale a dire che non avrebbe fatto nulla per evitarle, le stragi. “Dopo una violenta persecuzione giudiziaria con la complicità di certa informazione è durata ben 22 anni – è stato il suo primo commento – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono sempre stato assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita”. “Ma devo constatare – ha aggiunto – che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e neanche della recente sentenza della Suprema corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche”. Secondo Mori – che affonda la critica contro quella che ritiene una persecuzione – proprio per questo motivo, “quei giudici della Cassazione sono stati duramente criticati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del Csm che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo”. Mori ha parlato anche di circo mediatico che “si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno di anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancora maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri a informare le istituzioni e l’opinione pubblica. Dopodiché affronterò e supererò anche questa ennesima angheria”. Quindi lo sfogo finale: “Forse non mi si perdona di non avere fatto la fine di Falcone e Borsellino”. “Sconcertati dalle accuse”, è il commento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.


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