Attualità

Suicidi tra studenti italiani: scuola e cultura diventano un’arma mortale

di Redazione -


di Marika Pantè

“Vado a ritirare la tesi”: queste le ultime parole lasciate alla famiglia dalla ventisettenne napoletana Diana Biondi che lunedì 27 febbraio è stata trovata priva di vita in un dirupo. La ragazza, secondo alcune ipotesi della procura, avrebbe mentito ai genitori sulla laurea che avrebbe dovuto conseguire a breve in Lettere Moderne: aveva, infatti, diversi esami arretrati e, provata dai sensi di colpa, si sarebbe spinta verso il suicidio.

Quella di Diana è solo l’ultima di una serie di tragedie, un’ondata che ha colpito progressivamente, in questi ultimi anni, una fascia fin troppo grande di popolazione studentesca. Molteplici, infatti, sono stati i suicidi di studenti italiani: nel 2018 uno studente padovano decise di gettarsi sotto un treno per una bocciatura; nel 2020 la studentessa di medicina Daniela si lanciò dal quarto piano dell’università di Salerno; ancora, il 26enne padovano Riccardo Faggin , il 29 novembre del 2022, suicida in un incidente stradale contro un albero per una laurea non raggiunta; l’ultimo caso risale al 1 febbraio 2023 con una 19enne impiccata nel bagno dell’università Iulm di Milano. Le cause di tali gesti estremi sono riconducibili ad una matrice verosimilmente comune, un unico enorme blocco di stress psicologico che ha finito per acuirsi sempre di più nel periodo post-covid.

Uno studio pubblicato nel 2015 dall’OCSE dimostrava già come gli studenti italiani fossero maggiormente stressati rispetto ai loro coetanei degli altri paesi europei; nel 2019, poi, secondo un rapporto dell’Unicef, il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze italiani fra i 10 e i 19 anni soffriva di problemi legati alla salute mentale, circa 956mila in totale. La situazione non è migliorata, come ci espongono i dati Istat: “Nel secondo anno di pandemia l’indice di salute mentale cala decisamente nella fascia di 14-19 anni di entrambi i sessi, passando rispettivamente a un punteggio di 66,6 per le ragazze (-4,6 punti rispetto al 2020) e 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020)”. Da dati così allarmanti si può ben comprendere l’aumento del fenomeno dei suicidi che sta colpendo inesorabilmente gli studenti italiani, milioni di giovani che, attanagliati dal cumulo ingente di informazioni e responsabilità, preferiscono porre fine alla propria vita. Ma a questo punto la domanda che ci si deve porre è a cosa siano dovuti lo stress e la depressione che stanno invadendo gli studenti.

Sarebbe riduttivo dare la colpa esclusivamente alla pandemia da covid-19 o ad un’influenza negativa dei social, data l’abbondante diffusione di eventi analoghi già da qualche anno come dimostrato dalle statistiche. Ma allora, dove risiede il vero problema? La risposta è da ricercare nella società odierna, nella continua propaganda dell’arrivismo sempre più martellante: il percorso di studi si è mutato in una gara verso l’eccellenza, in uno sfinimento continuo nel quale si predilige ridurre i tempi di lavoro tralasciando il percorso effettivo e il bagaglio culturale da acquisire con sincero piacere. Ci si sta avvicinando a una perdita quasi totale dello scopo reale dello studio, a un assottigliamento dell’appagamento e del gusto della cultura, uno studio trasformato in un teatro di frustrazioni e delusioni. “Molti dei ragazzi che si incontrano, sia in ambito clinico che non, riportano paura del futuro, scarsa propositività e progettualità, timore della solitudine, confusione mentale e difficoltà neuropsicologiche” spiega Maurizio Pompili, Professore Ordinario di Psichiatria presso la Sapienza di Roma, ritenendo questa “sintomatologia” come un campanello d’allarme. Sono proprio la paura del futuro e il disorientamento durante il percorso scolastico i danni peggiori degli studenti.

In maniera quasi paradossale ma direttamente proporzionale, l’aumento delle possibilità di scelta per il percorso di studi e l’evoluzione progressiva di quest’ultimo hanno causato confusione e ansia da prestazione in studenti sempre più spaventati di non riuscire a costruirsi, dopo tante fatiche, un solido futuro. Il risultato? Una profonda e nauseante delusione di se stessi e (come spesso si crede) delle persone di cui ci si circonda. A tal proposito, per fronteggiare le problematiche sopradescritte, è intervenuta negli ultimi giorni la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini:” Dobbiamo agire alla luce di un disagio diffuso da parte degli studenti”. L’intenzione della ministra sarebbe infatti quella di promuovere l’istituzione di presìdi per il benessere psicologico negli atenei con lo scopo di combattere le fragilità degli studenti. “Aumenta soprattutto il timore del giudizio negativo degli altri. Il nostro obiettivo – ha aggiunto Bernini – è sostenere chi ne ha bisogno, aiutare a capire che il merito è un percorso, ed è soprattutto una conquista con se stessi, non il risultato di una sola performance”. E se fosse il merito la rovina di tutto? Se fosse la continua ricerca di approvazione altrui da “meritare” attraverso le fatiche ad alienare il popolo degli studenti? Non è forse il piacere e l’amore verso la mera e pura cultura il merito più grande? La conquista interiore, con se stessi, sta svanendo sempre più velocemente e la società, proprio noi, siamo il Caino che la sta uccidendo.


Torna alle notizie in home