Il caos recita: il Teatro come origine della creazione
“Lo stato naturale dei corpi celesti è il moto” scriveva Isaac Newton. Per i greci, kòsmos significa ordine e armonia, anche bellezza. Era contrapposto al chaos che per Platone è la materia informe che attende di essere organizzata dal Demiurgo per formare il kòsmos. “In ogni chaos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto”, aforisma di Carl Gustav Jung che aiuta a comprendere la loro interdipendenza. Una dualità presente anche nella recitazione, sia dal punto di vista drammaturgico – è il conflitto che sposta l’azione drammatica – sia dal punto di vista della messa in scena, poiché compito del regista è dare forma all’informe chaos. L’attore, analogamente ai corpi celesti, ha il suo moto, la sua ellisse. Non è rigida grazie all’intepretazione, ma ha una partitura a cui adeguarsi, la sua orbita. Il Teatro è un microcosmo.
Marsilio Ficino, con l’espressione copula mundi, sosteneva che l’anima umana fosse il punto di incontro tra materia e universo, l’Uno che li contiene entrambi. Il Teatro genera un campo gravitazionale. Antonin Artaud teorizza il Teatro della crudeltà ossia la volontà di liberarsi da qualsiasi orpello che non fosse coerente con la rappresentazione. Crudele, puro, asciutto, per colpire – attraverso l’arte – lo spettatore. “Se non fossimo persuasi di colpirlo il più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro compito più assoluto” scrive in “Il Teatro e il suo doppio”.
Per Artaud l’attore deve risuonare, vibrare, deve generare un campo d’attrazione e il pubblico deve sottostare a questa forza. Jerzy Grotowski con i suoi esercizi giungeva al cuore dell’attore, alla sua autenticità. “Impulso e azione sono concomitanti, il corpo svanisce, brucia e lo spettatore vede solo una serie di impulsi visibili” come scrive nel suo libro “Per un Teatro povero”. L’attore ritorna alla sua energia primaria, impulso e azione sono simultanei, non c’è pensiero, l’attore non pensa più alla traiettoria, è la traiettoria. Fluttua nello spazio delle possibilità e delle rappresentazioni. È una costellazione di impulsi. È pura forza.
Peter Brook in “La porta aperta” scrive: “Posso prendere qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo un palco nudo. Un uomo attraversa questo spazio vuoto mentre qualcun altro lo guarda, e questo è tutto il necessario per far sì che si generi un atto teatrale”. Per Brook il palco è uno spazio aperto, non separato dal pubblico perché quest’ultimo è necessario alla creazione artistica. Il vuoto, lo spazio nudo, è il chaos. Bastano un paio di occhi per tramutarlo in kòsmos. Lo spettatore è il demiurgo. Il Teatro dunque è massa, energia, orbita, gravità, entropia. È vita, è cosmo, da Artaud a Brook tutti lo vedono come una rappresentazione dell’universo in miniatura. Metafora del mondo perché totus mundus agit histrionem, come recitava il motto del Globe Theater, la vita stessa è una rappresentazione.
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