Editoriale

The importance of being Elly

di Tommaso Cerno -


The importance of being Elly

The importance of being Elly. Sta per risuccedere. E lo sa bene Elly Schlein. Perché se è vero che il Partito democratico vive una crisi di identità e ha mille correnti interne che come fiumi carsici riemergono e affondano, bisogna ricordare bene una cosa: le elezioni europee sono la comfort zone dei Dem. E la segretaria Schlein sa bene che per fare bingo la strada è una sola.

Dovrà essere lei, e solo lei, l’antagonista di Giorgia Meloni. Dovrà usare la struttura del Pd per garantirsi una solida base elettorale di partenza, che anche quando le cose vanno male, non scende mai sotto il 18 per cento. E sopra a quella base costruire un consenso, lanciando il messaggio che tutta l’Italia che vuole dare un colpo al governo, un colpo vero, che lo faccia traballare, deve scegliere il Pd. O, per dirla con l’abusata citazione montanelliana, turarsi il naso e votare Pd. Se riuscirà a trovarsi in questa collocazione politica, la campagna elettorale per lei sarà in discesa. Perché c’è una tendenza naturale dell’elettore italiano delle Europee a semplificare il campo ed è forse questo l’habitat più naturale per far fiorire il seme Dem.

C’è però un problema. Un problema che non ebbe Matteo Renzi, quando fece l’exploit nel 2014. Anche l’ex rottamatore aveva un nemico giurato figlio dello stesso campo politico, era Beppe Grillo. Un Grillo in gran forma, all’epoca, all’inizio della sua grande ascesa. Ma il senatore di Rignano riuscì ad anestetizzarlo, rubandogli i temi elettorali e spiegando al popolo progressista che se loro due la pensavano anche in maniera simile sulle cause dei mali italiani, la ricetta sarebbe stata diversa: la rabbia di Grillo, sarebbe stata con il Pd di Renzi trasformata in speranza. L’espediente dialettico funzionò e il Pd fu capace di stravincere. Con un dato che, anche in quello stesso momento, ma in competizioni diverse sarebbe stato impensabile. Elly Schlein dovrà fare i conti con Giuseppe Conte. Che non ha i voti che aveva Grillo all’epoca, ma che ha un vantaggio: farà meno fatica di Elly a parlare alle piazze arrabbiate. Come s’è visto anche con questo sciopero generale, che poi così generale non è. Il Pd paga ancora salato il governismo a tutti i costi degli ultimi anni e fatica a dialogare con quei pezzi di paese, le periferie, gli operai, i poveri che erano stati lo zoccolo duro del suo elettorato per decenni.

E così mentre Salvini teme di “scomparire” davanti a Meloni e si smarca, anche Conte prende subito una strada alternativa a Schlein. E apre la campagna elettorale intestandosi la guerra contro le banche, in un tempo di tassi alle stelle, prestiti ridotti all’osso e inflazione che galoppa. E mentre il Capitano attacca lo sciopero, si intitola la reazione del governo alle critiche, minaccia di precettare i piloti e i macchinisti del trasporto pubblico convinto che questa protesta indetta da Cgil e Uil sia “politica”, e lo fa per scongiurare la marginalità elettorale e il rischio di cadere sotto i colpi del grande consenso locale dei suoi colonnelli-governatori del Nordest, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, il buon vecchio Giuseppi attacca il governo. Reo a suo dire di avere fatto dietrofront sugli extraprofitti per favorire i grandi capitali e gli istituti di credito amici. Un passo di lato che ci mostra come la campagna elettorale per le Europee 2024 sia già cominciata. Proprio oggi. In quel Paese che si ferma. Anche se solo per poche ore.


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