Cultura & Spettacolo

Toc, toc! Chi è? L’Apocalisse!

di Adolfo Spezzaferro -


Un horror è tale se ha elementi sovrannaturali – secondo i puristi della critica cinematografica. Spesso, in maniera imprecisa vengono etichettati come horror film gialli o thriller molto truculenti e spaventosi. Ecco, Bussano alla porta, l’ultimo film di M. Night Shyamalan è un horror a pieno titolo, con risvolti oltre che sovrannaturali anche metafisici (e religiosi). Dopo prove valide e altre di dubbia qualità, il regista indiano naturalizzato statunitense ha ritrovato a pieno la sua cifra stilistica, come già visto in Old, dove la suspense e il terrore scaturiscono dal tempo che scorre (troppo velocemente). Questa sua ultima pellicola – adattamento del romanzo La casa alla fine del mondo, scritto da Paul G. Tremblay e pubblicato nel 2018 – è una variazione del genere home invasion. Con differenze sostanziali rispetto ai plot con la gente chiusa in casa assediata dai cattivi/mostri di turno. Sì, perché chi bussa alla porta e poi irrompe e immobilizza gli abitanti della baita nel bosco in cui si svolge il 99 per cento del film, non sono cattivi, per niente. Hanno un compito, anzi una missione da compiere. Terribile ma dirimente per l’intera umanità. La famiglia presa in ostaggio per questo fine ultimo che ha a che fare con la salvezza dell’umanità deve operare una scelta (quasi) impossibile. Inaccettabile, inumana. Eppure deve scegliere. Il film di fatto ruota intorno al concetto – che è pure e innanzitutto cristiano – del libero arbitrio: la vita è una scelta continua. Scegliere in questo caso però può porre fine a una vita, a tante vite, a tutte le vite.

Questa la trama. La spensierata vacanza del nucleo familiare composto da Andrew (Ben Aldridge – Pennyworth, Fleabag) ed Eric (Jonathan Groff – Mindhunter, Matrix resurrections), una coppia di due papà, insieme alla figlia adottiva Wen (Kristen Cui – esordiente, bravissima), è sconvolta dall’apparizione di quattro sconosciuti, che si presentano improvvisamente alla loro porta. La situazione prende una piega imprevedibile, inaccettabile dal punto di vista della logica e del senso comune, quando Leonard (Dave Bautista – Guardiani della galassia, Glass onion: Knives out), Sabrina (Nikki Amuka-Bird – Luther, Old), Adriane (Abby Quinn – Radium girls, Dopo il matrimonio) e Redmond (Rupert Grint – Harry Potter, Servant) avanzano una richiesta appunto assurda, totalmente folle. Un membro della famiglia dovrà essere ucciso da un altro membro della famiglia. Altrimenti l’umanità sarà spazzata via dal pianeta. Moriranno tutti. Tranne i tre che hano deciso di salvarsi.

La reazione iniziale dei due padri della molto perspicace Wen è quella di gran parte degli spettatori: “Morissero tutti, la famiglia non si tocca”. Il problema è che i quattro invasati – che hanno avuto le visioni e sono piombati in casa con armi da taglio rudimentali -, a differenza dei tre in ostaggio, scelte non ne hanno. Anzi, ad ogni rifiuto di compiere il sacrificio da parte dei tre potenziali salvatori dell’umanità, succederanno cose terribili. Ai quattro e non solo. Realtà, finzione? Spedizione punitiva omofobica? Delirio collettivo di gente che si è trovata sulle chat online e ha preso di mira l’allegra famigliola? Il film mette a dura prova sia la ragione che la fede (per chi ne ha) dello spettatore. Di fatto è una riflessione sull’influenza psicologica di un gruppo su un altro gruppo e su come ogni singolo individuo possa reagire a determinati input, a determinati sviluppi nella catena azione-rezione.La mano del regista si sente: la tensione è alta, con sequenze davvero ben realizzate. D’altronde per un’ora e quaranta assistiamo a una messa in scena (qui nel senso tecnico – senza riferimenti alla trama) tutta svolta in unico spazio, con sette protagonisti solamente. Gli attori sono tutti molto bravi, soprattutto il gigantesco Bautista, la cui postura mentale cozza con i suoi muscoli, e i genitori della piccola, bravi a dare corpo alle due facce della medaglia. La violenza, terribile e apparentemente insensata, non viene mostrata a pieno ma sinistramente lasciata intendere. Non è un film splatter, per carità. Tutt’altro: la violenza è la molla per far scattare di volta in volta l’escalation di tensione. Ma la pellicola resta un test della tendenza a credere o meno a qualcosa di oggettivamente incredibile, di entrare o meno in empatia con i protagonisti. Lo spettatore potrebbe immedesimarsi nelle vittime, così come nei carnefici. Il risultato non cambierebbe: a governare gli eventi, a segnare il destino dei protagonisti è una forza sovrannaturale. Il Fato? Dio? Andate a vederlo e vi farete la vostra idea.

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