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Tutti i danni del politicamente corretto: un fallimento totale

Il politicamente corretto blocca il pensiero critico, fallisce nel contrastare il bullismo e favorisce una volgarità ipocrita. E il conformismo danneggia la società e il linguaggio.

di Anna Tortora -


Nel tempo, i danni del politicamente corretto diventano evidenti. Non sono rumorosi, non esplodono: si insinuano, giorno dopo giorno, nel tessuto della società. Li vediamo a scuola, negli uffici, sui social. Ma soprattutto li vediamo nella perdita di una qualità sempre più rara: la capacità di pensare in modo critico.
Il politicamente corretto non invita alla riflessione, non la stimola, anzi, spesso la ostacola. Impone regole, etichette, linguaggi accettabili e altri da evitare, non in nome della comprensione, ma per conformità. Non ti chiede “cosa pensi?”, ma “sei sicuro che sia una cosa che si può dire?”. Così, invece di cittadini consapevoli, si formano sudditi timorosi. E a volte, anche sciocchi. Perché il pensiero, se non viene esercitato, si atrofizza.

Il fallimento nel contrastare il bullismo

Un altro effetto collaterale , troppo spesso ignorato, è il fallimento nel contrastare problemi reali come il bullismo. In teoria, viviamo in un’epoca di campagne, slogan, sensibilizzazioni continue. Ma nella pratica, il bullismo è ancora ovunque. A scuola, nei corridoi, tra gli adulti. E spesso, i primi bulli sono proprio quelli che si ergono a paladini del politicamente corretto. Genitori, insegnanti, manager, influencer: adulti che impongono il silenzio, che umiliano chi sbaglia, che esercitano un potere “moralmente giusto”, ma sostanzialmente autoritario.


La volgarità che avanza e l’ipocrisia politica

E poi c’è il grande paradosso: mentre si pretende un linguaggio sempre più filtrato, sempre più “puro”, è proprio in questa stessa epoca che la volgarità ha trovato uno spazio senza precedenti. Volgarità nel linguaggio, nei comportamenti, nella cultura pubblica. Una volgarità che si esprime senza vergogna e che viene condannata solo quando fa comodo a una certa parte politica o ideologica. Se l’insulto arriva da “chi è dalla parte giusta”, allora si tollera, si giustifica. Se arriva da chi dissente, diventa scandalo nazionale. Anche qui, la coerenza è stata sacrificata in nome della convenienza.

Il vuoto culturale e il conformismo dannoso

Nel frattempo, si è creato un vuoto. Un vuoto che non sarà facilmente colmato. Un vuoto che ha impoverito anche il linguaggio, riducendolo a frasi preconfezionate, parole autorizzate, espressioni senza anima. Dove un tempo c’era dibattito, oggi ci sono formule. Dove prima c’era pensiero, oggi c’è prudenza sterile. È un vuoto culturale e umano.

Un conformismo inutile e dannoso ha preso il posto del confronto. E non ha nulla di democratico. Anzi, è l’opposto della democrazia: non nasce dalla libertà, ma dalla paura di sbagliare, di essere attaccati, cancellati, emarginati. Non educa, non eleva, non stimola: normalizza e addormenta.
Che senso ha promuovere il rispetto solo a parole, se poi le dinamiche di sopraffazione restano immutate? Se il contenuto viene censurato, ma il comportamento arrogante resta accettato — o addirittura premiato?

Il tempo del politicamente corretto è finito

Il politicamente corretto ha avuto il suo tempo. Un tempo in cui poteva sembrare una via verso una società più giusta. Ma oggi i suoi effetti collaterali sono sotto gli occhi di chi vuole vedere: autocensura, conformismo, impoverimento culturale.
L’ignoranza grida, l’intelligenza tace. Ma il politicamente corretto ha fatto di più: ha ucciso il pensiero. O almeno, ci ha provato.
Sta a noi decidere se lasciarglielo fare.


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