Esteri

Ue: la sindrome bipolare tedesca

di Redazione -


Con una certa sorpresa, lunedì 18 maggio una notizia corre in tutta Europa, nelle borse, in tutti i media e soprattutto nelle cancellerie europee: la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Macron lanciano la proposta di un nuovo decisivo “bazooka” finanziario. Un bond di 500 miliardi di euro come aiuti a fondo perduto emesso dalla Commissione Ue e reperiti sui mercati e garantiti dall’intera Unione. E’ il recovery fund per fornire aiuto ai paesi dalle economie disastrate dalla grande epidemia e sul quale ritrovare l’unione dei 27. 

   Ma la notizia della notizia è la “conversione” della Merkel che fino a poco tempo prima era sembrata più che scettica sulla possibilità di ricorrere allo strumento degli eurobond. La cancelliera era ferma ad attribuire solo una parte minore di aiuti a fondo perduto: il resto dovevano essere prestiti anche se agevolati e a lunga scadenza. Comunque soldi da restituire. La svolta vera e propria, avvenuta tutta in casa tedesca su forti e crescenti pressioni di Macron è maturata nella costatazione che l’aggravarsi delle economie dei paesi più deboli e indebitati potrebbe mettere in crisi l’Euro e la stessa Unione Europea. E’ riferendosi a questo che la Merkel nel dare l’annuncio insieme a Macron ha affermato: “Serve uno sforzo colossale e Francia e Germania sono pronte a farlo”. E’ naturale come tutte le borse europee abbiano recepito con favore l’annuncio, specialmente in Italia dove le sola notizia ha fatto diminuire la distanza dai bund tedeschi di una ventina di punti.  Ma resta in piedi l’interrogativo sul perché della “conversione” tedesca quando fino a poco prima si strizzava l’occhio a chi definiva le popolazioni mediterranee spendaccione e propense alla bella vita a danno degli operosi lavoratori nordici. Tutto potrebbe spiegarsi col passaggio da una valutazione tattica, redditizia ma di breve respiro, ad una strategica che supera l’interesse immediato per aprirsi ad un disegno decisamente di largo respiro che rafforzi l’Ue come soggetto sovranazionale. Forse potrebbe bastare, ma a complicare le cose c’è un’altra notizia “tedesca” che 13 giorni prima ha fatto “saltare” sulle sedie tutte le stesse cancellerie, le borse e tutti i media: la Corte costituzionale tedesca, nota come il Tribunale di Karlsruhe, ha parzialmente bocciato definendolo incostituzionale il provvedimento della Bce sull’acquisto dei titoli di stato dei paesi europei. In sostanza il bazooka di Draghi che è stato recepito e confermato con lo stesso spirito dalla nuova presidenza di Christine Lagarde. In più la Corte, come si trattasse di un dipendente ha poco cortesemente disposto che i provvedimenti vengano corretti entro 3 mesi. E a completamento la stessa corte ha di fatto diffidato la cancelleria e il parlamento tedesco (Bundesrat) di seguire le direttive della Bce e della Commissione europea. Ce n’è abbastanza per chiedersi cosa stia avvenendo in Germania che decisamente dà l’impressione di essere in preda ad una sindrome bipolare. O invece se sia in corso un contrasto. Non rissoso sui deprecabili rumorosi stilemi mediterranei, ma altrettanto duro anche se condotto con compassati stili teutonici.

A questo punto il chiarimento può venire solo da Karlsruhe.  A leggere con attenzione la sentenza della Corte si colgono tre obiettivi della sentenza: ha negato legittimità al quantitative easing perseguito dalla Bce (Banca centrale europea) a partire dal 2015 con il PSPP (Public Sector Purchase Programme) e mettendo così in dubbio l’attuale programma antipandemico. Ha giudicato al di là dei suoi poteri la sentenza del 2018 della della Corte di giustizia europea che aveva approvato come coerente con il mandato della Bce il Pspp. Ha quindi criticato e diffidato il governo e il parlamento tedesco per non avere difeso l’interesse dei risparmiatori tedeschi, ma anche le banche e le assicurazioni della Germania che per anni avevano accusato Mario Draghi per averli danneggiati azzerando i tassi di interesse a vantaggio dei paesi debitori. A questo punto è chiaro che in Germania è in corso un duro conflitto ideologico le cui sorti non sono indifferenti per l’Unione. Quella sentenza del 5 maggio non è un precedente in assoluto perché è stata preceduta da una serie di altre sentenze tutte volte a contrastare la politica di Mario Draghi ma anche le decisioni della Commissione e finanche del parlamento europeo. I giudici di Karlsrhe nell’insieme della loro sentenza hanno commesso un errore: hanno fatto propria una visione politica, quella di un Europa interstatale non vedendo (o rifiutando) la novità storica di una crescente integrazione europea che prima o poi dovrà sfociare in un soggetto federativo sovranazionale.

Angelo Mina

 


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