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Zuppi sbaglia sull’8×1000 e la Chiesa cattolica può farne a meno

di Redazione -


di GAETANO MASCIULLO Zuppi sbaglia sull’8×1000 e la Chiesa cattolica può farne a meno

Dal 3 al 5 giugno 2025, a Bologna, si è tenuto il Convegno nazionale 1985-2025 – Quarant’anni di sostentamento del clero: ieri, oggi e domani”, promosso dall’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero. Secondo quanto dichiarato dalla CEI, “la Legge n. 222/1985 – per inciso: quella che ha istituito l’8×1000 come lo conosciamo oggi – ha segnato una svolta nei rapporti tra Stato e Chiesa, dando forma a un sistema basato su autonomia, trasparenza e corresponsabilità ecclesiale”.

Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna nonché capo dei vescovi italiani, in apertura del Convegno, ha lamentato “delusione per la scelta del Governo di modificare in modo unilaterale le finalità e le modalità di attribuzione dell’8×1000 di pertinenza dello Stato”. In realtà, come ha dimostrato Roberto Cascioli sulla sua testata, Zuppi ha sbagliato obiettivo e argomento.

Ha sbagliato obiettivo, perché le modifiche alla Legge sono state effettuate non dal governo Meloni, ma dal governo Conte 2, composto da maggioranza Pd-M5s, nel 2019. Si introdusse la possibilità di scegliere tra cinque tipologie di intervento a chi decide di devolvere l’8×1000 allo Stato anziché alla Chiesa. Meloni ha solo introdotto una sesta tipologia, ma attaccare un governo di centrodestra ha certamente più risonanza e trasporto mediatico, e questo Zuppi lo sa bene.

Ha sbagliato argomento, perché aggiungere possibilità di scelta per il cittadino non significa in alcun modo danneggiare la Chiesa cattolica. E lo dico da cattolico. La vera ragione di questo lamento sterile è un’altra, che non si può dire apertis verbis dinanzi a centinaia di preti convenuti a Bologna per “celebrare” (sic!) i 40 anni di una legge che, in realtà, altro non è se non lo sviluppo della volontà di mettere sotto controllo statale i cattolici.

I dati parlano chiaro: stiamo assistendo a un calo significativo delle firme dirette da parte dei contribuenti. La quota di 8xmille dei cittadini che non esprimono alcuna scelta viene ripartita tra Chiesa e Stato (e le altre confessioni con intesa) in proporzione alle firme espresse. Il risultato è che – dati 2023 alla mano – solo poco più del 40% dei contribuenti appone effettivamente una firma, il che vuol dire che il 60% del gettito 8×1000 proviene dalla ripartizione dei fondi “senza firma”, cioé di coloro che ancora non hanno capito come funziona la spartizione di questa torta (altrimenti non lascerebbero la casella bianca).

Dei circa 1 miliardo di euro ricevuti dalla Chiesa nel 2023, soltanto 400 milioni sono il risultato diretto della scelta dei contribuenti (ossia delle firme). Il trend va rapidamente peggiorando, anche a causa dell’incalzante secolarizzazione della società e delle nuove generazioni.

Il cardinale Zuppi dovrebbe cercare soluzioni più efficaci e concrete, ma la sua formazione politico-economica “santegidiana” (tradotto: assistenzialismo, pauperismo, statalismo, europeismo, immigrazionismo, progressismo, pacifismo, ambientalismo: la lista di -ismi sarebbe molto lunga!) probabilmente glielo impedisce.

Già, perché proprio la Diocesi di Bologna mostra che un modello alternativo di sovvenzionamento ecclesiastico già esiste. Il motivo? Il Cardinale Zuppi, sebbene sia noto ai più come “prete di strada”, è alla guida di una delle diocesi più ricche non solo di Italia, ma del mondo. Nel 2012, l’Arcidiocesi ricevette in eredità dal proprietario della FAAC, Michelangelo Manini, un patrimonio di 1,7 miliardi di euro, comprensivo del 66% dell’azienda. Dopo due anni di contenziosi, il controllo fu acquisito, grazie anche alla gestione prudente del cardinale Caffarra, che istituì un trust e destinò parte degli utili alla carità.

Nel 2015, Zuppi confermò tale linea, ribadendo la scelta di destinare i proventi “non per il culto, ma per i poveri”. I risultati furono notevoli: dal 2015 al 2019, i fondi devoluti all’Arcidiocesi passarono da 5 a 10 milioni di euro, con 6,5 milioni destinati a progetti sociali (Caritas, istruzione, lavoro, migranti, ex detenuti). Il resto fu accantonato in un fondo d’emergenza. Durante la pandemia, Zuppi istituì anche il Fondo San Petronio con 1 milione di euro dai dividendi FAAC per aiutare disoccupati e famiglie in difficoltà. Nel 2022, con 71 milioni di utile netto, Zuppi ammonì l’azienda: “Fate il possibile per non licenziare nessuno”.

La vicenda FAAC dimostra che la Chiesa non ha bisogno dell’8×1000 né per sostenersi né per servire i poveri. La Diocesi di Bologna, sotto la guida prima del cardinale Caffarra e poi di Zuppi, ha mostrato che il possesso di proprietà private, se ben amministrate, consente alla Chiesa di essere realmente libera, generosa e caritativa. Questa non è una Chiesa “povera per i poveri”, come andava predicando Papa Francesco con slogan tutto sommato anche banalucci, ma una Chiesa “ricca per i poveri”: forte, autonoma, capace di esercitare la carità senza mendicare dallo Stato.

Proprio questa esperienza dovrebbe incoraggiare un superamento dell’8×1000, che legherebbe meno la Chiesa al potere politico e restituirebbe ai fedeli la responsabilità concreta del sostegno economico locale al culto. Una Chiesa meno dipendente dallo Stato sarebbe una Chiesa più libera, più fedele al Vangelo e più vicina al popolo. In fondo, il Vangelo non dice: “Andate e chiedete il finanziamento pubblico”, ma: “Date voi stessi da mangiare a questa gente”.


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