Attualità

GRAVI INDIZI DI REATO – Dal suicidio all’omicidio: la verità sulla morte di Manuela Murgia

di Francesca Petrosillo -


E’ il 4 febbraio 1995, Manuela Murgia esce di casa nel quartiere Is Mirrionis di Cagliari. Ha solo sedici anni. Indossa un paio di jeans sopra il pigiama e sembra uscire con l’intenzione di rientrare presto. Sul tavolo della cucina lascia un rossetto e un profumo, come se si stesse preparando per qualcosa. Una persona afferma di averla vista salire su un’auto e poi scomparire. Quella sarà l’ultima volta che qualcuno la vede viva.
Il giorno dopo, una telefonata anonima segnala la presenza di un corpo nel canyon di Tuvixeddu, una cava artificiale all’interno della città. È il corpo di Manuela. Il volto presenta gravi ferite, le mani sono graffiate, la posizione del corpo anomala. Non ci sono testimoni, non ci sono segni evidenti di aggressione sessuale, ma qualcosa non torna. Nonostante ciò, le indagini vengono chiuse rapidamente con la conclusione di suicidio. Per le autorità, Manuela si è gettata volontariamente nel vuoto. La famiglia non accetta questa versione. I fratelli e la madre di Manuela iniziano a sollevare dubbi, parlano di comportamenti insoliti nei giorni precedenti, di chiamate telefoniche che la turbano, di soldi nascosti in casa. Manuela non dà segni di depressione. Ha una personalità riservata ma vivace, ama scrivere, sogna il giornalismo. Tutti questi elementi fanno pensare a un’altra verità, diversa da quella ufficiale. Negli anni successivi, la sorella maggiore, Elisabetta, non smette di cercare risposte. Raccoglie testimonianze, rilegge documenti, si rivolge a esperti legali e medici. A distanza di tempo, viene effettuata una nuova consulenza medico-legale. Il referto parla chiaro: le lesioni sul corpo di Manuela non sono compatibili con una semplice caduta. Sembrano piuttosto causate da un impatto con un veicolo, con una successiva movimentazione del corpo.
Nel 2024, la famiglia presenta una nuova istanza per la riapertura del caso. La procura inizialmente respinge la richiesta, ma di fronte alle nuove perizie e all’attenzione mediatica, si vede costretta a tornare sui suoi passi. Viene disposta la riapertura delle indagini e il caso viene riclassificato come omicidio volontario a carico di ignoti. Vengono avviate nuove analisi sugli abiti e sugli oggetti ritrovati con il corpo. Le tecnologie attuali consentono di isolare tracce biologiche anche minime, fino ad allora inaccessibili. Un’equipe di genetisti forensi si occupa della nuova fase investigativa, cercando frammenti di DNA che possano ricondurre a una o più persone coinvolte.
Trent’anni dopo, il nome di Manuela Murgia torna sulle prime pagine. Non più come una ragazza fragile che si toglie la vita, ma come possibile vittima di un delitto mai risolto. La sua famiglia continua a lottare, chiedendo verità e giustizia. Non vuole vendetta, solo risposte. E una memoria finalmente rispettata. Il caso di Manuela diventa simbolo di molte altre storie lasciate in sospeso, storie di giovani scomparse archiviate troppo in fretta. Ora, la speranza è che quella verità rimasta sepolta troppo a lungo possa emergere. E che Manuela trovi finalmente pace.


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