Attualità

Anziani senza riposo: ora la pensione si allontana sempre di più

di Marina Cismondi -


Qualche decennio fa gli italiani cinquantenni potevano programmare quello che avrebbero fatto una volta ottenuta, di lì a poco, la meritata pensione. E non era raro che già a quell’età, anno più o anno meno, si fosse già raggiunta l’età pensionabile: con 35 anni di lavoro e considerando che già a 14 anni era possibile essere regolarmente assunti, a cinquant’anni si poteva, ancora in buona salute e con i figli già maggiorenni, dedicarsi a programmare viaggi, trasferirsi nelle seconde case montane o marine (che, ai tempi, si riuscivano ancora ad acquistare senza troppi sacrifici), prendersi cura dei propri genitori o nipoti.
Un’immagine di vita che appartiene al passato e che oggigiorno è un sogno irrealizzabile, in Italia come nel resto d’Europa. L’età per accedere alla pensione è in costante e continuo aumento da anni ed ai giovani di oggi si prospetta un futuro di lavoro fin dopo i 70 anni. I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è che si vive più a lungo: negli anni ’60 la speranza di vita in Italia era di una settantina di anni, ora è di circa 83. Ovvia conseguenza è che chi deve erogare le pensioni deve farlo per un numero di anni maggiore. Il secondo motivo è che si sono toccati i minimi storici di nascite di bambini, in continuo decremento da anni.
Secondo l’indagine di Eurostat, nel 2023 in Ue sono nati 3,67 milioni di bambini, con un decremento del 5,4% rispetto al 2022 ed il tasso di fertilità è stato di 1,38 nati per donna, in calo rispetto a 1,46 nel 2022. E l’Italia è fra i fanalini di coda, ben al di sotto della media europea, con 1,21 bambini per donna in età fertile nel 2023, dato sceso ulteriormente ad 1,18 l’anno scorso. Rispetto ad una decina di anni fa, nel nostro paese le nascite sono calate del 26%. Ci sono quindi – ed in proiezione futura la situazione è destinata ad un ulteriore peggioramento – meno lavoratori giovani che versano i contributi necessari per far fronte al pagamento delle pensioni.
Un meccanismo in forte crisi, un equilibrio fra entrate ed uscite scomparso da tempo. In Italia la pensione di vecchiaia è attualmente percepibile a partire dai 67 anni, una delle età più alte in Europa. Con la famigerata “legge Fornero” del 2011 l’età pensionabile è collegata all’aspettativa di vita: più si vive a lungo, più si lavora a lungo. Ma l’Italia è in buona compagnia: in Olanda e Danimarca l’età per poter accedere alla pensione è già oltre i 67 anni, con aggiornamenti automatici in base all’aumento della vita media. In Spagna si andrà in pensione a 67 anni entro il 2027, in Germania entro il 2031. Va meglio ai francesi, dove nel 2023 l’età per il pensionamento è stata portata da 62 a 64 anni, riforma che scatenò mesi di scioperi e proteste, con centinaia di manifestanti che scesero in piazza nelle principali città di tutto il paese.
Cosa si devono aspettare i giovani europei di oggi per il loro futuro? Secondo il rapporto OCSE (organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico) “Pensions at a Glance” del 2023, entro il 2060 l’età di pensionamento potrebbe arrivare a 74 anni, con la Danimarca in pole position, pronta a guidare la trasformazione.
Il rapporto prevede che l’età aumenterà in modo considerevole in 20 paesi per gli uomini ed in 24 per le donne, su 32 Stati analizzati. In Danimarca, che ha già pianificato un passaggio a 69 anni entro il 2035, si raggiungerà il record europeo con 74 anni per entrambi i sessi. In Italia l’età pensionabile continuerà a salire nei prossimi decenni, raggiungendo i 71 anni entro il 2060 per chi è entrato nel mondo del lavoro nel 2022. Conseguenze di una situazione che, sempre secondo le pagine del rapporto OCSE dedicate all’analisi del nostro paese, vede l’Italia messa già ora decisamente male dal punto di vista previdenziale, prospettando scenari ancora peggiori nei prossimi 20 o 30 anni, causati dal rapido invecchiamento demografico. Tra i paesi presi in esame siamo fra i primi in termini di invecchiamento, con 41 anziani ogni 100 adulti, contro un valore medio di 31 su 100 per il contesto OCSE (intendendo per anziani coloro che hanno 65 anni o più e per adulti coloro che ne hanno tra 20 e 64). La nostra aliquota contributiva risulta del 33% contro il 18% della media dei paesi OCSE e comunque non è sufficiente a coprire la spesa previdenziale ed il peso delle pensioni sul PIL risulta del 16% contro una media inferiore all’8%. Anche il rapporto annuale dell’Inps del 2023, conferma che la contribuzione non risulta sufficiente: sono stati incassati contributi per 214,6 miliardi di euro e sono state pagate pensioni per 304 miliardi. Innalzare l’età pensionistica pare quindi una scelta inevitabile, ma che avrà non poche conseguenze anche sui giovani, riscontrabili già nel contesto attuale.

Uno degli effetti più evidenti è il rallentamento del ricambio nel mondo del lavoro: se gli anziani lavorano più a lungo, si riduce il numero di posti che si liberano per i giovani.

Le difficoltà di accesso al lavoro e la prospettiva di dover lavorare fino a un’età molto avanzata, con nessuna certezza di una pensione soddisfacente, compromettono anche i loro progetti di vita: il matrimonio, l’acquisto della prima casa, i figli rinviati a data da destinarsi.

Per far quadrare i conti si alza l’età pensionabile, ma così i giovani restano disoccupati, non versano contributi e non fanno figli. Ma se le cause del problema previdenziale sono il calo della natalità e la perdita di equilibrio fra chi contribuisce lavorando e chi riceve la pensione, alzare l’età pensionabile è il giusto rimedio o il classico cane che si morde la coda? 


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