Atena, il giusto processo: invito alla pace democratica
“Perché sia una vittoria totale deve prima avvenire una riconciliazione coi vinti”
Atena, il giusto processo: invito alla pace democratica
“Votare significa accettare di separarsi”. Così scriveva la storica Nicole Loraux ne La città divisa. Lo stesso principio di accettazione che Eschilo mette in scena nella sua trilogia l’Orestea. Rappresentata nel 458 a.C., le tre tragedie che la compongono (Agamennone, Coefore e Eumenidi) narrano le vicende della ghènos di Atreo. Agamennone, suo figlio e re di Argo, viene ucciso per mano della moglie Clitennestra e del suo amante Egisto. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, si vendica uccidendo gli assassini di suo padre. La vicenda si conclude con la persecuzione di Oreste da parte delle Erinni, divinità vendicatrici, e la sua assoluzione grazie all’intervento del tribunale dell’Areopago, con l’aiuto della dea Atena.
Il risultato di parità raggiunto dalla votazione, con conseguente assoluzione di Oreste, è singolare e non è un caso. Infatti la stásis, ossia la possibile situazione di stallo assembleare, con conseguente frattura e polarizzazione delle parti, era molto temuta. In questo caso la parità perfetta sancisce una lacerazione cittadina ma suggerisce anche una convivenza pacifica, senza vinti o vincitori. La serena convivenza tra le due fazioni era infatti il più auspicabile desiderio a seguito di una votazione.
Lo storico Christian Meier nel suo saggio L’Arte politica della tragedia greca scrive: “La vittoria, da sola, non è sufficiente: perché sia una vittoria totale deve prima sopravvenire la riconciliazione coi vinti”. Nel caso dell’Orestea, è la forza democratica del processo, dove uno vale uno, che supera la vendetta. Atena pronuncerà queste parole “Non siete state vinte, ma in verità uscì fuori con pari voti la sentenza, senza offesa alle vostre prerogative” non solo per placare la collera delle Erinni, ma anche per rimarcare quel concetto di unione pacifica delle parti, di riconciliazione.
Atena continua, parlando di un’“istituzione che rimarrà salda per sempre” dimostrando l’importanza della forma assembleare e della sua organizzazione “un baluardo che salva il territorio e la città incorruttibile al lucro, degno di reverenza, inflessibile d’animo, vigile scolta del paese a difesa di chi dorma”. Al verso 977 delle Eumenidi appare chiara la distinzione tra stásis e philía: con la prima che viene definita “malattia mortale della polis”, mentre la seconda è vista come l’unica medicina capace di unire “in un sol cuore” i cittadini e di “agire come una sola volontà contro i propri nemici”.
Un desiderio di unione che comprende le divergenze naturali, poste alla base della democrazia e, più in generale, dell’essere umano. Alla luce delle recenti influenze tecnologiche sull’autonoma capacità di formulare pensieri, frasi come “non sono d’accordo” sono una risorsa da abbracciare con spirito greco.
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