Veneto, rebus centrodestra: De Carlo, Zaia forte, Lega debole
La scelta del candidato del futuro governatore veneto rimane un rebus per il centrodestra. Luca Zaia, presidente del Veneto, si conferma il più amato d’Italia e il convitato di pietra che dovrebbe determinare i giochi. Il sondaggio curato da Roberto Baldassari per Affaritaliani lo accredita del 67,9% del consenso: un dato che non solo conferma la tenuta del modello amministrativo zaiano, ma accentua quello che ormai è un paradosso politico. Se cresce ancora il consenso personale di Zaia, per il centrodestra diventa un problema. Il governatore, in carica dal 2010 e giunto all’ultimo miglio del suo terzo mandato, non potrà ricandidarsi. La legge lo vieta. E così il centrodestra si trova a dover risolvere l’equazione più complicata degli ultimi quindici anni: come governare il dopo-Zaia, in un Veneto da sempre moderato che da oltre un decennio vota più la persona che il partito? Ecco che la forza di Zaia e la debolezza della Lega diventano una sorta di teorema di scienza della politica. Sì, perché la Lega, che in Veneto ha costruito la propria identità, vive oggi una contraddizione evidente. È forte quando corre il vessillo di Zaia, capace di attrarre voti ben oltre il perimetro tradizionale del Carroccio, ma appare debole quando si tratta di proporre candidati di osservanza salviniana. Il nome che circola con insistenza è quello di Alberto Stefani, attuale coordinatore veneto. Una scelta che non scalda il cuore dei territori e che rischia di trasformare il voto in un referendum sulla contrapposizione tra Lega e Fratelli d’Italia. Il punto è proprio questo: il consenso plebiscitario di Zaia non è trasferibile automaticamente. La “lista Zaia”, nata come civica di supporto, è diventata contenitore di voti moderati, civici, cattolici sociali, imprenditori e anche di sinistra. Una lista prendi-tutto come dicono i politologi. Senza Zaia in campo, quella massa elettorale non resterebbe fedele alla Lega. Si spiega la spinta di FdI, che arriva alle regionali con il peso del 37,8% raccolto alle Europee. Giorgia Meloni rivendica (fin qui a bassa voce) la guida della coalizione regionale perché il Veneto è diventato il migliore terreno nazionale. Merito anche dei rappresentanti locali. Il nome in pole è quello di Luca De Carlo, senatore bellunese e uomo di fiducia di Meloni. Una candidatura che consentirebbe a FdI di capitalizzare il sorpasso sulla Lega, chiudendo un ciclo storico. Ma la partita non è semplice. Zaia non vuole assistere passivamente all’archiviazione della propria esperienza politica. Difenderà la continuità amministrativa appoggiando figure più vicine al suo metodo di governo che alla linea salviniana, trasformando la “lista Zaia” nell’ago della bilancia. Ma il dopo-Zaia non è solo questione veneta. È la prova di maturità del centrodestra. Salvini non può permettersi di perdere il Veneto dopo aver visto erodere i consensi a livello nazionale. Meloni, invece, sa che strappare la Regione simbolo della Lega avrebbe un valore politico enorme. Sullo sfondo FI punta a restare importante, ma non potrà imporre un nome. Gli “equilibrismi” di cui si parla non sono un artificio retorico: si tratta di decidere se il centrodestra resterà compatto su un candidato unitario (ecco l’ipotesi del civico) o se il Veneto diventerà teatro di uno scontro fratricida. Un’eventualità che per la coalizione in netto vantaggio nei sondaggi sarebbe il peggior autogol possibile.
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