Il Cairo che non ti aspetti: le sorprendenti scoperte del Professore Giuseppe Fanfoni
Se parliamo di Egitto pensiamo subito, in maniera spontanea, alle piramidi ma in realtà c’è molto di più. Esiste un capolavoro composto da cinque strutture nel pieno centro del Cairo, tra cui il teatro dove la confraternita dei dervisci Mevlevi (mistici islamici, ndr), danzava in maniera circolare per raggiungere il massimo della spiritualità, che è stato riportato alla luce grazie al lavoro e alla tenacia di Giuseppe Fanfoni, restauratore, docente presso l’Istituto d’arte di Roma e professore di metodologie e tecniche del restauro all’Università del Cairo, esperto di restauro e archeologia presso l’Università di Roma e tanto altro.
Cavaliere al merito della Repubblica Italiana nel 2003, Premio al merito dell’Unione Generale degli Archeologi Arabi nel 2007, premio Rotondi nel 2012, premio Leonardo da Vinci per il Design alla Florence Biennale XIII nel 2021, il Professor Giuseppe Fanfoni ha sempre cercato di svolgere il suo lavoro assicurando le condizioni migliori ai suoi collaboratori.
L’intervista
Professor Giuseppe Fanfoni, cosa si prova a far riemergere capolavori con le proprie mani?
Premesso che le attività archeologiche e di restauro hanno un essenziale obbiettivo cognitivo, il mio sentimento, già riguardo all’iniziale opportunità di restauro della Sama’khana (teatro) dei dervisci Mevlevi, è stato di protezione, di attenzione e rispetto alla storia del monumento da conoscere. Questo stesso spirito ho trasmesso ai miei collaboratori, agli operai offertimi dal Ministero delle Antichità Egiziane e agli studenti per i quali insegnavo dal 1976 all’Università di Giza al Cairo.
A lei il merito di aver creato un cantiere scuola per i lavoratori egiziani. Come ha sviluppato l’idea?
Da questo approccio educativo è scaturita la mia iniziativa di costituire “un cantiere-scuola di specializzazione all’archeologia e al restauro” coinvolgendo l’area di circa 10.000 mq (di cui 2.500 a discarica) offerta dal Ministero delle Antichità Egiziane e in cui sono i monumenti di Qusun- Yashbak Aqbardi (sec. XIV-XVI), la madrasa (la scuola) di Sunqur Sa’di (sec. XIV), il mausoleo di Hasan Sadaka (sec. XIV) e la Sama’ Khana con il convento dei dervisci Mevlevi (sec. XVII-XIX).
Il cantiere scuola ha permesso la formazione all’archeologia e al restauro di artigiani, tecnici e professionisti che infine hanno trovato inserimento nei rispettivi settori pubblici o privati, dell’artigianato, delle amministrazioni e delle università egiziane. Numerose tesi di restauro sono state attivate e seguite in accordo con le Università egiziane e italiane.
I lavori del professore Giuseppe Fanfoni
A lei si deve la scoperta di un complesso incredibile comprendente il Palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi, la madrasa, la scuola di Sunqur Sa’di, il mausoleo di Hasan Sadaqa, la Sama’ Khana, ossia la sala dove si pratica l’ascolto e la meditazione nonché la danza dei dervisci rotanti, la Takiyya, il convento dei dervisci. Quali sono gli aspetti più sorprendenti di queste meraviglie?
Attraverso l’organizzazione del cantiere scuola, tra ricerca archeologica, scientifica e tecnologica nei propri laboratori e l’applicazione pratica e formativa diretta su campo, è stato condotto a compimento il restauro della samakhana (1988), riportando i Mevlevi di Konia e Istanbul a eseguire il sama’. E, del sama’, abbiamo recuperato la simbologia che configura in modo singolare la stessa sama’khana del Cairo. È stato riportato alla luce l’eccezionale impianto della madrasa di Sunqur sa’di (inaugurata come museo Mevlevi nel 2002). Lì attraverso scavi stratigrafici sono emersi i più antichi resti dell’area risalenti alla città di Ibn Tulum e oltre, fino alla stessa fondazione del Cairo. Nel così detto Mausoleo di Hasan Sadaqa abbiamo ritrovato il sarcofago di Sunqur sa’di, recuperando al mausoleo stesso la denominazione identitaria. Nel 2009 è stato completato il restauro della Takiyya (convento) Mevlevi alla cui inaugurazione, in presenza della Commissione Esteri del Senato Italiano, è stata presentata la mostra “Restauri e Restauratori”, poi itinerante in Egitto e in Italia.
C’è stato un momento in cui ha pensato di abbandonare ciò che da sempre l’appassiona: l’archeologia?
Le attività sono state portate avanti con vari supporti e programmi. Promossi, da parte egiziana, dal Ministero delle Antichità e di varie Università, da parte italiana dal Ministero Esteri Italiano, CNR, Università, e anche da contributi di privati e di volontari iscritti alla nostra associazione formata nel 1986 tramite il personale docente, tecnico e artigianale del cantiere scuola.
Purtroppo l’alternanza di finanziamenti ha impedito una continuità operativa comportando incertezza per il futuro. Malgrado tali difficoltà non abbiamo e non ho mai pensato di interrompere queste attività, per le quali continuo a sperare un proseguimento di lunga durata.
C’è un errore che si rimprovera nella sua carriera?
Nel 2024 ho proposto il progetto di restauro del Palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi (https://www.youtube.com/watch?v=O_Rx89irwOY&t=6s) che auspica una continuità nell’ambito del “Piano Mattei”. Esso darebbe stabilità alle attività condotte ormai da oltre 40 anni. Così da coordinare uno sviluppo comune Europa-Africa, in comunione con la cultura italiana, per il futuro del continente, dilaniato da guerre, miseria e sfruttamento. Dunque, ho sempre cercato di adeguarmi alle difficoltà incontrate forse aggirando gli ostacoli ma evitando scontri di forza. Sicuramente nel contesto sociale in cui si vive, e da sempre nella storia umana, ma questo è un difetto del quale però non mi rimprovero.
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