Che dilemma, mister Giorgetti. La scelta è tutta sua. Dovrà scegliere, il capo del Mef. Quale sarà la grande priorità a cui la manovra dovrà assolvere. Se, come inizialmente auspicato, portare fin da subito il deficit al 3% per uscire dal Patto di stabilità o se, come s’augurano gli altri a cominciare da Confindustria, cedere qualcosa per incentivare la crescita. Le due cose, va da sé, sono concatenate. Ma è questione di tempi. Se si esce dal Patto, se si riportano i conti a posto, l’Italia troverebbe spazio e risorse da sottrarre ai (soliti) debiti per immetterle a tutela dell’economia e a sostegno della produzione. Ma, ecco, è questione di tempi. Ce ne vuol troppo e le imprese, assicura Emanuele Orsini, non ce la fanno più tra bollette altissime e con l’incubo dei dazi di Trump che incombono. Il guaio, però, è che a complicare il dilemma di Giorgetti è pure la grande questione del sostegno al ceto medio. Un altro appello, in questo senso, gli è arrivato dal sociologo Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, che da Milano ha fissato le (sue) priorità verso la manovra: “Tutela sociale dei più fragili, dei non autosufficienti e di coloro che rischiano di diventarlo”. Già, perché l’Italia è il Paese in cui il ceto medio – che continua ad aspettare da anni che qualcuno smetta di mungerlo – rischia di polverizzarsi, impoverirsi e scomparire. E senza ceto medio, il motore vero del Paese, l’Italia si ferma. “Un aiuto a questa fascia perché riprenda in mano i processi di sviluppo è probabilmente l’altro intervento necessario”, ha sottolineato De Rita. Secondo cui “non è l’aiuto fiscale, non è il bonus ma lo sforzo di rimettere in movimento una classe sociale così importante e così vasta”. Insomma, ci vuole un cambio radicale a favore del ceto medio. Cosa che, Giorgetti e la maggioranza, sperano di centrare coi tagli all’Irpef. Non è un mistero, difatti, che il governo intenderebbe alleggerire la pressione fiscale sperando così di incentivare la spesa nei consumi che, al momento, balbetta. La domanda interna, quella che per capirsi ha tenuto in piedi l’Italia durante il Covid e nel pieno della crisi energetica, è quella su cui scommette il Mef. Confesercenti, ieri, ha riferito che la spesa generale delle famiglie è salita di mezzo punto nel 2025, pari a 5,6 miliardi. Bene, ma non benissimo. Solo l’industria, di miliardi, ne necessita otto. Epperò, per Giorgetti, la tentazione di fare benissimo i compiti e portare l’Italia, per una volta, a essere la prima della classe in Europa è forte, fortissima. Anche perché ieri, con l’ennesima caduta dell’ennesimo governicchio, la Francia ha tremato dalle fondamenta e i suoi titoli di Stato, gli Oat, hanno offerto fin da subito un rendimento di gran lunga superiore a quello dei “nostri” Btp. Il che non è un buon segnale per la stabilità francese: si promette di più, agli investitori, proprio per vincerne la ritrosia e convincerli a sganciare denaro fresco. È lo spread, tutto qui. Lo dicono gli analisti: la finanza internazionale dismette titoli transalpini preferendo i nostri. Un altro effetto positivo, ma non ditelo a Lagarde, è il deprezzamento dell’euro che da ieri è un po’ meno forte. E questo fa bene alle imprese, italiane sì ma europee in generale. Tuttavia il sentiment del mercato è che, a tener troppo a posto i conti, l’Italia rischia la crescita. Basterebbe un dato per riflettere: da qui al 2028, stando alle analisi di Unimpresa, la pressione fiscale “vera” schizzerebbe fino al 48%. Altro che abbassare le tasse. Sarebbe davvero una iattura. Il gioco, o meglio la lode sul quaderno dei compiti a casa, vale la candela? Chissà, ma di sicuro l’Italia è sorvegliata speciale in ogni caso.
Se ne saprà di più nelle prossime ore. Oggi iniziano le audizioni alle Commissioni riunite di Camera e Senato sul Bilancio. Prima l’Istat, poi il Cnel e la Corte dei Conti. Toccherà, domani, a Bankitalia, all’Upb. Concluderà proprio il ministro Giorgetti che, si spera, per mercoledì avrà sciolto il dilemma. Anche perché, dopo l’audizione, gli toccherà spiegare (e bene) le sue scelte in maggioranza. È previsto, sempre per mercoledì, il vertice in vista della manovra. Giancarlo Giorgetti dovrà spiegare, punto per punto, le decisioni a Matteo Salvini, Antonio Tajani, Maurizio Lupi e naturalmente Giorgia Meloni. Mancano quarantotto ore per sciogliere il dilemma.