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Attualità

Quando il rispetto fa acqua da tutte le parti…

di Alberto Filippi -


C’è chi dice che l’integrazione sia un ponte. Bene, ma se il ponte finisce in una fontana di San Pietro, allora qualcosa dev’essere andato storto. L’episodio di questo extracomunitario che si è spogliato e ha pensato bene di urinare nella basilica più sacra della cristianità non è solo un fatto di cronaca: è il simbolo plastico, umiliante, di un Paese che ha dimenticato il significato della parola rispetto.

Perché sì, l’integrazione non è una parola magica, non è una formula da campagna elettorale. È – o dovrebbe essere – il risultato di un patto reciproco: io ti accolgo, tu rispetti. Io ti do una possibilità, tu rispetti le regole, la cultura, le radici, i simboli di chi ti ospita. Invece da anni ci raccontano il contrario: che dobbiamo “capire”, “giustificare”, “contestualizzare”. E così ogni follia, ogni gesto indegno, ogni violenza, diventa un caso sociale, una “disfunzione”, una “provocazione” da leggere con empatia.

Empatia, sì, ma per chi? Per chi calpesta il pavimento di San Pietro trasformandolo in un orinatoio pubblico? E noi, che dovremmo indignarci, dobbiamo invece sentirci in colpa. Perché, ci dicono, “non comprendiamo”, “non aiutiamo abbastanza”, “non accogliamo davvero”. Ma se questa è accoglienza, allora chi difende la casa?

Ormai è chiaro: il rispetto delle nostre radici non è più una priorità, anzi, è quasi un fastidio. Parlare di tradizione è diventato “populismo”, chiedere ordine è “razzismo”, pretendere che chi arriva rispetti ciò che trova è “fascismo”. E così il risultato è quello che abbiamo visto: un uomo che urina nella basilica di San Pietro e un sistema che, invece di chiedere giustizia, cerca la scusa perfetta.

Ma non ci stiamo più.

Non è libertà, questa: è resa.

Non è integrazione: è inversione dei ruoli, dove chi sbaglia viene compreso e chi si indigna viene accusato.

È tempo di tornare a dire con chiarezza che integrazione non significa cambiare il Paese che ti accoglie, ma comprenderlo, amarlo, e rispettarlo.

Chi non è disposto a farlo, semplicemente, non è integrabile.

E se la politica non trova il coraggio di dirlo, allora vuol dire che si è già arresa.

Per paura, o peggio ancora, per calcolo elettorale.


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