L’Italia cresce poco ma a primavera è fuori dall’austerità. Una carezza in un pugno. Le buone notizie ci sono, per carità. Ma ci stanno anche quelle brutte. Sicché il bicchiere è mezzo vuoto, o mezzo pieno. A seconda della sensibilità di ognuno. Da Bruxelles arrivano notizie che non sono veramente contrastanti. Ma che, seppur di senso apparentemente diverso, disegnano un quadro coerente. L’Italia cresce poco, meno del previsto. E, se ciò accade, è grazie per lo più al Pnrr e ai fondi collegati al piano di ripresa e resilienza. Contestualmente, inizia a far capolino una luce in fondo al tunnel. A primavera, se tutto andrà così come deve andare, l’Italia sarà fuori dalla procedura di infrazione per debito. E questa sarebbe una notizia. Anzi “la” notizia.
L’Italia cresce poco
A disegnare lo scenario italiano è stato il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. Che ha fornito numeri e dati sullo stato di salute dell’economia del nostro Paese. “Per quanto riguarda la crescita economica in Italia, prevediamo una crescita modesta dello 0,4% quest’anno e dello 0,8% nei prossimi due anni”, ha dichiarato l’esponente dell’esecutivo europeo durante la conferenza stampa tenutasi ieri per le stime economiche autunnali. A sostenere la crescita, per quanto ridimensionata dal momento che le previsioni parlavano dello 0,7% per il 2025 e dello 0,9% per l’anno seguente, del nostro Paese sono stati “i consumi delle famiglie e gli investimenti”.
Il ruolo del Pnrr
Il Recovery Fund, per Dombrovskis rimane “il principale motore degli investimenti pubblici”. La conferma, l’ennesima, di quello che già si sa ormai da anni. Pnrr e domanda interna tengono a galla il Paese in uno dei momenti peggiori per l’economia europea. Che, nonostante tutto, cresce: “Anche in un contesto avverso, l’economia dell’Ue ha continuato a crescere. Ora, dato il difficile contesto esterno, l’Ue deve adottare misure decise per sbloccare la crescita interna. Ciò significa – ha affermato il vicepresidente Ue – accelerare il nostro lavoro sull’agenda per la competitività, anche semplificando la regolamentazione, completando il mercato unico e stimolando l’innovazione”. Le parole del commissario Ue all’Economia riaprono il dibattito sulla durata del Pnrr e sulla scadenza, ormai imminente, del Piano. Una discussione che, soprattutto in Italia, ha generato preoccupazione e in certi settori addirittura allarme. Che Dombrovskis però ha voluto esorcizzare asserendo che, dal 2026 in poi, aumenteranno i finanziamenti e i programmi di coesione. Circostanza, questa, che “aiuterà a sostenere i livelli di investimento pubblico”. Insomma, non ci si dovrebbe fare (troppo) male.
Fuori dall’austerità
Ma c’è pure un’altra notizia positiva per l’Italia. Che, presto, già a primavera, potrebbe uscire dalla procedura per debito e quindi dai rigori imposti dalle regole del nuovo Patto di stabilità: “In Italia il deficit di Bilancio è previsto in calo sotto il 3% del Pil quest’anno”, ha dichiarato il vicepresidente Ue che si è detto ottimista su ulteriori ridimensionamenti “nei prossimi anni”. Va da sé che, usciti dai rigori imposti dal Patto di Stabilità, per l’Italia e la sua economia potrebbero aprirsi orizzonti importanti. E, sicuramente, più espansivi per i prossimi anni. Anche in questo caso le previsioni vengono superate ma in meglio. Bruxelles si aspettava un calo del rapporto deficit/pil solo al 3,3% entro quest’anno mentre, nel 2026, l’attesa era per il 2,9% mentre adesso ci si attende un più rotondo 2,8% mentre, nel 2027, il rapporto si stabilizzerebbe ancora più giù al 2,7%.
La Germania è ferma
L’Italia, dunque, ha ricevuto due notizie: una buona e una che lo è meno. Ma c’è chi, sotto il profilo della crescita, non sta meglio di noi. A cominciare dalla Germania. Se tutto andrà bene, dicono da Bruxelles, il Pil tedesco resterà stagnante anche nel 2025. Poi, dal 2026, si potrà tornare a parlare di crescita: le ipotesi parlano dell’1,2 per cento in più. Per l’Italia, che con il suo +0,8% sarebbe nel 2026 il fanalino di coda dell’Ue, è comunque una buona notizia. Se si ferma la locomotiva, pure i vagoni non possono sperare di correre più di tanto. Ed è un dato di fatto il rapporto, fortissimo, tra le industrie italiane e tedesche. Con le prime che, nel corso degli ultimi decenni, sono entrate dentro le catene del valore delle seconde. Trasformandosi quasi in una sorta di contoterzista per la Germania. Una situazione, di fatto, in cui non vale né può valere alcuna schadenfreunde.